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Omaggio a Carmelo Bene

 

In seguito alla scomparsa di Carmelo Bene, avvenuta il 16 marzo 2002 alle ore 22,30 ca. nella sua casa di Roma, vorrei prendere spunto da un’affermazione da lui più volte ripetuta per presentare il suo straordinario percorso artistico. A dire il vero l’aggettivo “artistico” è al quanto limitativo e non sarebbe graditonemmeno dal Maestro (come spesso lo si appellava meritatamente); la sua arte, infatti, è stata sempre una contro-arte e non si è mai scissa dallo scavo esistenzialistico compiuto dentro di sé. Egli è (da concedersi il presente) una delle figure più affascinanti e dirompenti del secondo ‘900. L’affermazione è questa: <<Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può>>. E Carmelo Bene dal suo grande genio ha succhiato tutte le risorse che ha potuto, coniugando, in una sinergia eccellente, le sue doti naturali (mi riferisco precipuamente ai suoi infiniti registri vocali) e la tecnologia. Il vero genio, d’altronde, è proprio colui che non ripudia il nuovo, i cambiamenti che lo circondano, ma li rende strumentali alla produzione delle sue creazioni, alla diffusione delle sue idee. Nel suo teatro Bene, come ha lui stesso dichiarato sia in interventi scritti che verbali, ha impiegato l’amplificazione in maniera rivoluzionaria. Portata al massimo,essa gli ha consentito di annullare il soggetto parlante e le parole stesse nei suoni, di far scalzare il significato dal significante fino a rendere superflue le traduzioni dei testi. Proprio in virtù di questo processo, infatti, indipendentemente dalla propria lingua di appartenenza, ogni pubblicoha partecipato(direbbe il Maestro “incoscientemente”) ad un fenomeno che sarebbe ridicolo definire rappresentazione teatrale e che è meglio descrivere con le parole dello stesso C. B.: <<Prima e dopo la Storia (della committenza) dell’arte nel suo addobbato infingimento consolatorio, prima e dopo il suo caleidoscopico intrattenimento sociale, l’attorialità è finalmente estranea al suo prodursi. Vocalità vestita di riverbero. E ciò può intendere solo chi sia stato chissà dove visitato da questo altrove del dover – non – essere – estetico che recide il (non più suo) fluire del prodursi-articolarsi in opera>> (maggio ’95).
Carmelo Bene ha consentito, con le sue doti fisiche e metafisiche, ai personaggi shakespeariani, all’Adelchi di Manzoni, al Pinocchio di Collodi e tanti altri, di ri-crearsinel non-luogo della scena. Nei suoi spettacoli testo e contesto risultano superflui. Il dolore, la morte, la gelosia, la follia, le contraddizioni irrisolvibili dell’esistenza calcano il palcoscenico come fermentanti nella mente dell’autore hic et nunc.
Non voglio però ulteriormente prolungarmi rischiando una retorica commemorazione. Preciso soltanto, usando sempre espressioni “beniane”, che l’intento di questo omaggio è far sì che “l’oblio non ci attraversi” nel momento in cui è venuto a mancare un uomo che “ha fatto di sé un capolavoro”: tutto il suo operato (che qui di seguito sarà ampiamente descritto) e tutto ciò che il suo genio “ha potuto” produrre ne sono la palese dimostrazione.

 

SPETTACOLI TEATRALI: 

 

 

CINEMA:

 

 

DISCOGRAFIA:

 

 

SPETTACOLI PER LA TELEVISIONE (titoli principali):

 

 

RADIOFONIA (titoli principali):

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

Dott.ssa Gerarda Del Gaiso