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Breve storia dei formati audio, dal vinile all'mp3

 

La musica, è stato detto, è quello che resta nell'aria dopo che i musicisti se ne sono andati.
L'immagine sottolinea la natura sfuggente ed effimera dell'esecuzione musicale, e rimanda in qualche modo anche alla definizione fisica del suono, che è "aria che vibra". I suoni sfuggono, dunque, e perciò non da ora si cerca di catturarli e di fissarli su dei supporti più o meno precari. La vicenda dell'ascolto musicale è anche nel rapporto con questi supporti, e nel modo in cui vengono registrati, venduti, collezionati, di recente anche copiati e scaricati.
I supporti musicali cambiano ciclicamente, il vinile e il CD si sono spartiti più o meno equamente gli ultimi cinquant'anni. Il disco nero in vinile, così come orgogliosamente ancora vive, era nato agli inizi degli anni '50.
I solchi erano stati rimpiccioliti (microsolchi) e la velocità rallentata (da 78 a 33 giri) per ottenere una lunga durata (long playing), circa tre quarti d'ora per i compositori che si potevano finalmente allargare. Pochi anni dopo nasceva la stereofonia, musica per entrambe le orecchie dell'uomo, la destra e la sinistra, e i tecnici del suono iniziavano a cercare una prospettiva sonora credibile (all'inizio in verità è un disastro: metà strumenti da una parte, metà dall'altra e un bel buco in mezzo, molto jazz storico dei primi '60 è conciato così).
Il suono del vinile è analogico: le pareti dei solchi hanno curve analoghe alla forma d'onda della musica, dentro i solchi la puntina vibra al ritmo stesso della musica, il contatto è fisico e genera attrito, rumore di fondo, logorio reciproco. La musica è ripartita tra due facciate, in mezzo una pausa per girare il disco e riflettere su ciò che si sta ascoltando (allo stesso modo al cinema c'erano il primo e il secondo tempo del film).
Il vinile è scomodo, si graffia facilmente, richiede pulizia e manutenzione, attenzioni e cure che sono riti e miti dell'esperienza di ascolto e del rapporto con la musica. Il suono è molto buono già negli anni '60, un suono caldo, ricco, morbido. Ma il processo di stampa industriale produce spesso dischi di qualità scadente, in particolare in Italia, mortificando il gran lavoro in sala di registrazione. Nei negozi arrivano vinili che suonano male, sono rumorosi e si rovinano subito.
Gli appassionati avveduti accettano un prezzo più alto pur di avere stampe straniere, in molte città nascono negozi di LP di importazione, si cerca il vinile puro, il vinile vergine, il vinile pesante (almeno 180 grammi, come le bistecche nelle steak house).
Le copertine dei LP sono grandi, c'è spazio per la grafica artistica, per la pop art di Andy Warhol, per le fotografie di Francis Wolff sui Blue Note, alcune di queste copertine restano giustamente famose e associate per sempre al suono dell'album.
Il digitale arriva con gli anni '80, annunciato da striduli squilli di trombe, presentato come un incredibile progresso verso la perfezione, e per qualche tempo riesce a illudere tutti. Il suono è campionato e ridotto a numeri (la parola inglese "digital" infatti ha a che fare con le cifre, in francese diventa "numérique", da noi digitale che è fico anche se c'entra più con le dita che coi numeri). Il disco si rimpicciolisce e si sbiadisce, ma l'anima metallica manda riflessi di luce, è nato il CD. Le note di copertina sono scritte in caratteri minuscoli, e irritano i collezionisti di vinili, colti nell'età di un'incipiente presbiopia.
Il suono è migliore, si dice, e lo si dice da più parti e così tante volte che in molti all'inizio ne sono convinti. Il suono è in realtà più chiaro, più aperto, sembra perfino più dettagliato, ma è anche aspro e freddo, spesso sbilanciato verso le alte frequenze, e l'ascolto prolungato affatica le orecchie e la mente. A chi solleva i primi dubbi si risponde che non è abituato alla perfezione del nuovo suono, e che è assuefatto ai difetti dell'analogico (distorsione, rumore di fondo, scarsa dinamica).
Ci vorrà qualche anno per rendersi conto che lo standard CD audio è stato fissato con caratteristiche troppo limitate ed è "oggettivamente" povero di informazioni: troppo scarso il numero di campioni (44.100 al secondo) e troppo esigue le dimensioni di ciascun campione (16 bit, valore che esprime la risoluzione del suono digitale). Nel frattempo comunque il mercato è conquistato ed il CD, con l'aiuto di una massiccia e frettolosa campagna di ristampe dei vecchi album, finisce per sostituire il vinile nei negozi di musica.
La mediocrità dei CD di prima generazione evidentemente imbarazza anche le case discografiche, che negli anni '90 rimettono mano alle registrazioni originali e le riprocessano con nuove apparecchiature ad alta risoluzione (dapprima 20, poi 24 bit). Questa volta si tratta di un significativo passo in avanti e di un evidente miglioramento nella riproduzione del suono, ed avviene senza clamorosi annunci e senza campagne pubblicitarie, in molti casi anzi riguarda pubblicazioni in serie economica che rimangono tali anche nella nuova veste.
Sulle confezioni dei CD compaiono piccoli loghi (20 bit o 24 bit remastering) che in molti neppure notano ma che testimoniano una nuova accuratezza nel trattare i vecchi materiali. Anche se il supporto finale rimane il CD a 16 bit, l'alta risoluzione apporta benefici chiaramente udibili: il suono è più dettagliato (ad esempio nel lavoro delle spazzole della batteria, o nel fraseggio del contrabbasso), è più morbido e meno aggressivo.
Il vecchio suono analogico è ora preso a modello e riferimento e non più considerato una scarpa vecchia da buttare, e un grande ingegnere del suono come Rudy Van Gelder può firmare senza imbarazzo le riedizioni dei suoi lavori e dichiarare senza scandalo di aver cercato di ricreare il suono dei vecchi vinili.
L'alta risoluzione sembra preparare il terreno alla successione al CD audio, che ormai ha accumulato due decenni di servizio. Alla fine degli anni '90 il candidato naturale sembrava il versatile DVD, che di lì a poco conoscerà un'enorme diffusione, e infatti lo standard DVD-video viene fissato con specifiche tali da poter accogliere audio a 24 bit. Ma le case discografiche temporeggiano, spaventate dalla precoce violazione dei codici di criptatura dei DVD ad opera di un adolescente scandinavo che sarà famoso.
Già, perché CD e DVD si possono ora registrare in casa, e gli originali si possono copiare. Il laser può incidere direttamente i supporti, può scriverli senza la necessità di una stampa a partire da un master (in italiano per indicare tutto ciò si inventa la parola "masterizzazione", tanto brutta quanto sbagliata).
E il successore del CD audio, il nuovo supporto per l'audio ad alta risoluzione? Dopo molti tentennamenti ne arrivano addirittura due, in concorrenza tra loro: il super audio CD e il DVD-Audio. Entrambi sono iper-protetti contro la copia, entrambi adottano codifiche di tipo nuovo e richiedono nuovi lettori, perché i "normali" lettori DVD non li leggono. Nei negozi i nuovi formati si vedono poco, e spesso non si sa dove collocarli. I DVD-Audio fanno solo una fugace apparizione, i SACD dopo le prime temerarie uscite in formato "puro" ora escono "ibridi", sono cioè sia SACD che CD, nei negozi finiscono in mezzo ai CD e sembrano voler confondersi tra essi, più che distinguersi. Lentamente si costituisce un discreto catalogo (un sito specializzato come Acoustic Sounds ne offre oggi più di 1.500), si riedita in SACD la discografia di Bob Dylan e di Peter Gabriel, oltre al best-seller The Dark Side of the Moon.
Qualche musicista si entusiasma: il chitarrista-produttore Henry Kaiser dalle note di copertina del recente Yo Miles! Sky Garden invita espressamente a uscire di casa per acquistare un lettore SACD.
La natura ibrida di questi dischi facilita i confronti "a orecchio" e consente qualche considerazione: i SACD suonano bene, ma suona bene in genere anche l'omologo strato CD sullo stesso disco. Quando, come spesso avviene, entrambe le versioni (SACD e CD) sono l'esito diversificato dello stesso lavoro di processamento del suono, le differenze sono sfumate.
In altre parole, le nuove tecniche di trattamento del suono ad alta risoluzione fanno bene alla musica, ma l'introduzione sul mercato di nuovi formati audio sembra dettata più dall'esigenza delle major del disco di difendersi dalla pirateria che da un bisogno reale e diffuso di ascoltare meglio la musica.
A controprova di ciò, il recente Greatest Hits di Neil Young esce sfruttando le poco esplorate potenzialità audio del DVD-Video, vale a dire rinunciando alle protezioni anti-copia l'alta risoluzione può arrivare in tutte le case.
Un'altra considerazione a proposito del multicanale, dato che SACD e DVD-Audio contengono spesso anche una versione "surround" dello stesso materiale musicale, e che sistemi per la riproduzione multicanale sono presenti in molte case, sull'onda del successo dei film in dvd.
Nel cinema in casa (e in sala) l'audio surround è un vero valore aggiunto, coinvolge lo spettatore e lo immerge nella scena del film, e lo stesso si può dire anche per i DVD video musicali con concerti dal vivo. Applicato alla sola musica, il multicanale spesso si risolve in una innaturale forzatura: i canali posteriori dovrebbero contribuire alla tridimensionalità della scena, limitandosi per lo più a pochi riverberi d'ambiente, e invece capita di ascoltare intere sezioni strumentali provenire dalle spalle di chi ascolta, con effetti spiazzanti.
Naturalmente ci sono delle godibili eccezioni, come la creativa versione multicanale di Medulla di Bjork, ma molto spesso, a meno che non si tratti di registrazioni dal vivo, si ritorna volentieri ad ascoltare la versione stereo, forse e se non altro perché le orecchie sono e restano solo due.
E dunque, quale sarà il successore del CD? Forse non ce ne sarà alcuno, è possibile infatti che si vada verso la scomparsa dei supporti audio così come li conosciamo.
Piaccia o no alle case discografiche, la musica viaggia sempre di più in internet, e anche se è possibile che dei supporti ottici ad alta risoluzione sopravvivano come prodotto di nicchia destinato agli ascoltatori più esigenti, la distribuzione musicale su disco sembra destinata quanto meno a un drastico ridimensionamento.
Al momento i formati musicali compressi (come l'mp3) che sono nati per superare le limitazioni di banda disponibile, pur sorprendenti in rapporto alle dimensioni, non soddisfano chi cerca un ascolto di qualità, tuttavia la banda disponibile è destinata ad aumentare.
La musica dunque sembra volersi separare dai suoi contenitori tradizionali, dai dischi col buco in mezzo, grandi o compatti, dalle belle copertine cartonate o dalle orribili custodie di plastica. Sembra di avvertire una perdita di fisicità dell'opera musicale, una smaterializzazione della musica che diviene un flusso, una circolazione. Gesti e rituali che da sempre associamo all'ascolto musicale sembrano perdere significato. Forse sentiremo una mancanza, una nostalgia. Ma se accenderemo il music server domestico per mettere su un po' di musica, sbirciando dentro vedremo la sagoma rassicurante di un hard disk, pur sempre un disco!

 

Lucio Arrighi