WhatsApp

Confini del jazz e territori musicali limitrofi

 

Oggi, sotto l'etichetta di "jazz" si è soliti rubricare una varietà di opere musicali diversissime tra loro, sovente assai lontane dalle radici della musica "afroamericana" - storicamente all'origine del genere "jazz" - e che con quest'ultima condividono, talvolta, solo aspetti limitati.
Questo fenomeno ha molte ragioni, talune comprensibili, giustificate e sensate, altre più banali, superficiali e "furbe". Tra le prime si possono menzionare l'ispirazione che certe opere traggono dall'universo jazzistico, la provenienza artistica dei musicisti che le producono, l'impiego di elementi tradizionalmente propri della musica jazz. Tra le seconde, invece, si possono ricordare l'esigenza di trovare in fretta un pubblico per musica "diversa", la necessità di collocare negli scaffali dischi "atipici", il bisogno di "paletti" per orientarsi (anche dal punto di vista estetico) nel gran mare delle produzioni musicali contemporanee.
Sopra tutte queste ragioni, però, vorremmo porre un dato di fatto che ci sembra tanto importante, quanto conclamato: oggi l'universo del jazz costituisce forse la più dinamica delle correnti musicali di esplorazione ed avanguardia, il più fecondo laboratorio creativo del mondo della musica, colta ed extracolta. Per questo, molti musicisti curiosi, inquieti e creativi sentono la necessità di attingere a questa realtà, di farvi riferimento, anche quando si occupano di musiche dalle radici sostanzialmente aliene a quelle della tradizione jazz.
Questo uso linguistico "ampio" della parola "jazz" comporta però un duplice pericolo. Da un lato, c'è la possibilità che la denominazione perda il suo rigore e la sua coerenza, dato che queste si basavano su un fondamentale, se non unico, riferimento: il mondo della musica afroamericana che, accanto ad aspetti condivisi da altre esperienze musicali come l'improvvisazione e la centralità dei solisti, aveva come suoi elementi determinanti lo swing ed il blues. Dall'altro, esiste il rischio che quanto non sia riconducibile a quella tradizione, in modo quantomeno traslato, finisca comunque per essere sminuito, ghettizzato e accantonato, senza che ne sia neppure valutata la reale portata artistica.
È per queste ragioni che ci è sembrato utile dedicare uno spazio specifico ad una più attenta considerazione della musica che, pur in qualche modo inclusa tra il jazz, si muove di fatto su un territorio "di frontiera", ed in particolare su quella frontiera che delimita il jazz dalle musiche etniche e popolari. Quelle musiche, cioè, che pur caratterizzate dall'improvvisazione, dal contrappunto e dalla creatività, non intrattengono dirette relazioni con il blues e con lo swing ma piuttosto traggono la loro ispirazione ed il loro materiale di partenza da altre tradizioni, caratteristiche di altre terre che non siano gli Stati Uniti: il klezmer, le infinite danze popolari, la tarantella, i ritmi balcanici, i canti nordici, la melodia mediterranea…
È evidente che il territorio da tenere potenzialmente sotto osservazione è fin troppo ampio: tutte le nazioni e finanche le più ristrette località geografiche possiedono un loro patrimonio musicale autoctono, ed è molto probabile che oggi, con l'accelerato processo di comunicazione ed ibridazione delle culture, in molti luoghi del mondo si produca musica che unisce tradizione e avanguardia improvvisativa, etnica e jazz. Per questo cercheremo innanzitutto di muoverci a partire da quanto ci è più vicino, vale a dire dalla tradizione italiana, sia perché in Italia vi è già una fiorente e creativa scuola che ha fornito al jazz di casa nostra spunti per moltissime opere di grande valore, sia perché quei ritmi fanno comunque parte delle nostre radici e perciò dovremmo essere meglio capaci di apprezzarli e farli risuonare dentro di noi.
Poi, rimanendo vigili su quanto potrà offrire il mercato discografico ed il mondo degli spettacoli, cercheremo di capire meglio certe realtà jazzistiche "nazionali" caratterizzate dal radicamento nelle tradizioni popolari locali - come certo jazz scandinavo, franco-africano, mediorientale, est-europeo.
E poi, ancora, vedremo: perché l'intenzione della rubrica è quella di fare un po' di chiarezza su ciò che viene prodotto, sul suo valore, sulla sua reale "prossimità" all'universo jazzistico, attraverso la valutazione più attenta dei materiali musicali, l'ascolto delle personali valutazioni dei protagonisti di questo settore, ed infine la definizione più chiara dei confini "di genere", per mezzo di studi ed approfondimenti specifici.
Un lavoro tutto da svolgere e del quale non possiamo certo anticipare oggi i possibili "risultati" a venire. Che potrebbero, forse, essere anche "sorprendenti" e farci magari affermare, in futuro, che c'è altro, oltre il jazz, nel jazz…

 

Neri Pollastri (da www.allaboutjazz.com/italy)