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Debussy, Feldman, Ellington e gli altri

 

«Non possiamo dimenticare che il tempo di Debussy è anche quello di Cézanne e di Mallarmé; congiunzione triplice, alla radice forse di ogni modernità, anche se non è possibile trovarvi un insegnamento discorsivo; ma non v'è dubbio che Debussy ha voluto far capire che occorreva non solo costruire, ma sognare la propria rivoluzione». Così si chiude la voce stesa nel 1958 per l'Encyclopedie de la Musique Fasquelle da Pierre Boulez. La traduzione in italiano è in Note di apprendistato (Einaudi, Torino 1968). Proprio 1968: «Sognare la propria rivoluzione».
Debussy e la pittura: fu chiamato da un critico "impressionista". Debussy e la poesia: scrisse meraviglie su testi di Mallarmé a partire dal Prélude à l'après-midi d'un faune, come poi Ravel, come poi Boulez. Debussy e la natura, il mare soprattutto. Sirènes, il terzo dei Nocturnes, per Debussy «è il mare, il suo ritmo innumerevole; poi, fra le onde argentate di luna, si sente, ride e passa, il canto minaccioso delle Sirene». Lo stesso mare che Puccini ha ricreato in Madama Butterfly; il coro femminile delle sirene non ricorda quello "a bocca chiusa"? La prima esecuzione dei Nocturnes è del 27 ottobre 1901, nell'ottobre del 1903 Puccini era a Parigi, lavorava al secondo atto di Madama Butterfly e Debussy scriveva già La mer – i primi appunti sono dell'estate 1903.
E per la prima volta forse, con il Prélude, la musica europea perdeva davvero la necessità di affermare per giungere finalmente a suggerire. Un terreno etereo che porta a Morton Feldman, anche lui amico di pittori, degli espressionisti astratti. Debussy ha anche aiutato i musicisti a liberarsi del tempo che scorre, quello degli orologi, e Feldman affermò «Io non sono un orologiaio»; Debussy ha anche steso una concezione spaziale piana, e Feldman ha cercato di scrivere sempre una musica di superficie. Debussy, che per primo scoprì la musica di Giava, sapendone cioè cosa fare e indicando la via della curiosità coraggiosa per modificare il passato, utilizzava assai spesso (nel Prélude à l'après-midi d'un faune, in Nuages) una forma complessa di ripetizione, o diversi modelli di ripetizione, anche per sostituire i precedenti modelli di sviluppo. Lasciati questi soli, le ripetizioni o la ripetizione divengono la base del primo minimalismo americano e inglese, quello che in Steve Reich impiega anche ritmi e suoni di Giava e di Bali. Con il suo mare, con le sue acque anche pianistiche, Debussy ha permesso alla musica di fermarsi pur sembrando in movimento e di riflettere. Come le onde, e un poco (o poco) importa se i riflessi sono anche baluginanti agglomerati sfavillanti di suono, perché il suono sarà poi parametro costruttivo di tanta musica a venire, come il ritmo sospeso che si accavalla immoto. Quando Michael Nyman, allora giovane musicologo, scriveva «Per Debussy un accordo era un timbro, una sensazione individuale più che un elemento di legame nella continuità armonica», già immaginava quale musica incantata lui ne avrebbe tratto per gli elementi liquidi, pittorici e sognanti dei film di Peter Greenaway? Un po' di quel timbro incantato che aveva accolto anche Edward Duke Ellington, sul finire degli anni Venti, negli anni Trenta. Il guizzare del clarinetto sull'orchestra in quella sorellina minore del Prélude per Mallarmé che è la Rhapsodie per clarinetto, nata col pianoforte per i partecipanti a un concorso di Conservatorio, poi presto orchestrata. O il far sentire il mare senza descriverlo, l'immergersi in un panorama senza analizzarlo, che è La mer di Debussy, Harlem per Ellington.

 

Michele Mannucci (da www.sistemamusica.it)