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Elton John

 

Timidissimo, inconsapevole e devastato da un terribile rapporto con il padre: così si presentava nel lontano 1968 il ventunenne Reginald Dwight, famoso con lo pseudonimo di Elton John. Con la musica classica nel cuore, il giovanissimo compositore affiancato dal capace paroliere Bernie Taupin (partnership che, tra alti e bassi, non si scioglierà mai), si stava appena affacciando sulla scena con i singoli "Lady Samantha" e "It's me that you need" (quest'ultima poi ripresa in Italia da Maurizio Vandelli con il titolo "Era lei").
Di lì a pochi anni, il ragazzo schivo avrebbe lasciato il posto al rutilante e coloratissimo pianista capace di infiammare stadi interi con la sua presenza e le sue acrobazie allo strumento amato.
Dotato di una voce irripetibile e spontanea, Reginald imparò a suonare il pianoforte a 3 anni, ad orecchio; ad 11 anni vinse una borsa di studio che gli aprì le porte della prestigiosa Accademia Reale di Musica di Londra. Dopo un periodo di gavetta in una band londinese, i Blueslogy, Reginald decise di adottare il nome d'arte con il quale si sarebbe imposto – da Elton Dean, sassofonista del gruppo, e da "Long" John Baldry, leader della formazione – e di tentare una carriera solista.
Ben presto, riuscì a realizzare il proposito: lodato da John Lennon, venne salutato come quarto fenomeno rock dopo (cronologicamente parlando) Elvis Presley, Beatles e Bob Dylan.
Gli anni '70 furono lastricati da perle in 7 note, quali "Your song", "Tiny dancer", "Rocket man" e molte altre ancora; il suo primo insuccesso commerciale si registrò nel 1978 con l'album (pur interessante) "A single man", ed il tonfo si ripeté l'anno seguente con il rinnegato "Victim of love".
L'immagine eccessiva che accompagnava Elton John non rifletteva affatto la sua personalità, in realtà riservata fino all'esasperazione, e capace di liberarsi solo grazie alla musica.
Durante i suoi concerti Elton John si dimostrò in grado di coniugare il suo grande talento artistico a travestimenti inverosimili, invenzioni scenografiche e soprattutto alle celeberrime quanto assurde montature di occhiali, di cui è tuttora un collezionista.
Nel 1976 in un'intervista a "Rolling Stone" l'ormai famosissimo Elton John dichiarò al mondo la propria omosessualità suscitando non poco scandalo; nei rampanti anni '80 cominciò ad abusare pesantemente di alcol e di stupefacenti. Nel 1985 partecipò al Live Aid (in occasione del quale non mancò di complimentarsi con i Queen capitanati dal suo grande amico Freddie Mercury) e nel 1986, in seguito ad un'esportazione tumorale alla gola, la sua voce mutò radicalmente, ponendo fine per sempre al primo e più rilevante capitolo della sua lunga parabola artistica.
La carriera ultratrentennale di Elton John ne ha viste di tutti i colori: ha inscenato un finto matrimonio con una donna, ha riscosso dal settimanale inglese "The sun" un ingente risarcimento per calunnia, ha allestito un'asta nel 1988, ha ammesso di essere stato tossicodipendente, alcolista e bulimico disintossicandosi nel 1990, ha partecipato al "Freddie Mercury Tribute" nel 1992, ha pianto la scomparsa dell'amico Versace, ha cantato ai funerali della Principessa Lady Diana Spencer una nuova versione di "Candle in the wind" (divenuto il singolo più venduto nella storia), è stato nominato Baronetto dalla Regina d'Inghilterra, si è dedicato alla beneficenza, in particolare alla sensibilizzazione nei confronti dell'AIDS...
Poi qualcosa è cambiato. Negli anni '90, continuando un processo di declino in atto già da qualche tempo, Elton John si è sempre più distanziato dalla musica per trasformarsi in un personaggio mondano, una macchietta da rotocalco; i suoi album pur mantenendo discrete qualità hanno perduto impatto ed imprevedibilità. Non è stato sufficiente il bel disco del 2001 "Songs from the West Coast" per risollevare la testa e rinverdire i fasti del passato; basti ricordare la versione di "Sorry seems to be the hardest word", una delle sue composizioni più struggenti, cantata con una boyband!
Per chi lo conosceva com'era un tempo, per chi aveva imparato ad amare intensamente un piccolo genio, resta il riconoscimento del 1997, quando l'Accademia Reale di Musica ha accolto Reginald Dwight come membro onorario (un simile privilegio era stato concesso in precedenza solo a Strauss, Liszt e Mendelssohn).
I suoi massimi capolavori, forse oggi un po' dimenticati, rimangono: "Elton John" e "Tumbleweed connection" (1970), "Madman across the water" (1971), "Honky chateâu" (1972), "Goodbye, yellow brick road" (1973), "Captain Fantastic & The Brown Dirt Cowboy" (1975) e "Blue Moves" (1976).
Forse è bello ricordare la grandezza di un impacciato musicista che nonostante tutto rimane indimenticabile con la copertina dell'album "Captain Fantastic...": Elton sorridente, insieme al suo più vero, controverso ed imprescindibile compagno di vita: il pianoforte.