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Genesis tra fiaba e realtà

 

Quando si parla di fiabe viene naturale pensare alle favole raccontateci dai nostri genitori o dai nostri nonni. I varii Cappuccetto Rosso, Pinocchio, Biancaneve, Cenerentola e chi più ne ha più ne metta, hanno accompagnato l'infanzia di milioni di bambini.
Invece quando nel mondo della musica, già di per sé un mondo impalpabile ed etereo, si parla di fiabe non possono non venire in mente, a chi è cresciuto con un certo tipo di musica, i Genesis della prima metà degli anni '70.
Era il 1969 quando veniva pubblicato "From Genesis To Revelation". Album non tecnicamente eccelso e musicalmente, in alcuni episodi, forse precursore di un certo tipo di sonorità new wave romantica prodotta poi negli anni '80 ("The Conqueror" su tutte, con echi sognanti e chitarre in secondo piano). Tant'è vero che lo stesso Jim Kerr dei Simple Minds, icona della new wave della prima metà degli anni '80, dichiara apertamente di adorare i Genesis e certi schemi sonori new-romantic dei loro album stanno lì a testimoniarlo, anche se eseguiti con uno stile completamente diverso.
Suoni prettamente derivati dal beat sound che andava tanto di moda verso la fine degli anni '60 e che era presente in tantissimi gruppi che iniziavano la loro carriera in quel periodo (Le Orme di "Ad Gloriam", i Deep Purple di "Shades of Deep Purple" e "The Book of Talyesin" ecc.). Non è un album progressive nella moderna accezione del termine ma ci aiuta a capire quello che già aveva in mente il genio Peter Gabriel, che ha seguito un'unica idea tematica che va dalla Genesi alla Rivelazione della Bibbia.
La vera manipolazione dell'immaginario incomincia subito con il loro secondo disco, "Trespass" del 1970. Disco in cui nel songwriting ci sono le idee di Anthony Phillips alla chitarra, già presente nel primo disco. Le sue, quelle di Gabriel e di Tony Banks sono idee che daranno la svolta decisiva dal beat e che trasformerà il sound dei Genesis a venire anche dopo la sua dipartita.
Incomincia a venir fuori anche la presenza "teatrale" di Peter Gabriel, il quale intreccia testi fiabeschi e sognanti (dalla struggente "Looking For Someone" e dalla perla "Stagnation") con temi cupi e quasi lugubri riguardanti l'omicidio (alla cavalcata "The Knife").
Il grande successo e l'ingresso di prepotenza nell'immaginario collettivo avviene l'anno dopo, nel 1971, con la produzione di "Nursery Crime". Il 1971 è l'anno che segna l'ingresso nella band del geniale Steve Hackett alle sei corde e del giovane talentuoso Phil Collins alle pelli della batteria.
Purtroppo l'ingresso del dotato Phil avrebbe anche segnato il percorso, negli anni a venire, verso la fine artistica dei Genesis a causa delle sue idee sempre più orientate verso le "mode" del momento.
Tornando a "Nursery Crime", la stupenda "The Musical Box" fa venire fuori con prepotenza la verve teatrale di Peter Gabriel, ancora una volta alle prese con un'intensa interpretazione di un'omicidio accidentale causato da una nurse ad un bambino (il nursery crime che dà il titolo all'album). Si passa poi, guarda un po', alla fiaba di "The Return of the Giant Hogweed" per passare poi alla scanzonata "Harold the Barrel" e per finire con un'intricata "The Fountain of Salmacis", legate dalle delicate "For Absent Friends" e "Harlequin". Tutte eseguite con grande maestria dai grandissimi musicisti che sono i componenti dei Genesis.
Credo si possa tranquillamente dire che questo prezioso album toccherà i tasti sensibili della propensione al fiabesco ed al romantico delle anime musicali mediterranee. Soprattutto in Italia dove i Genesis esplodono con un successo al di là di qualsiasi aspettativa. Moltissimi gruppi del nostro paese prenderanno il sapore dell'idea progressive sinfonica e barocca iniziata dalla band inglese mescolandola con una sapiente dose di profumi mediterranei. Le Orme, la Premiata Forneria Marconi, il Banco del Mutuo Soccorso per citare i più famosi e non da meno i New Trolls, il Museo Rosenbach e tantissimi altri venuti alla ribalta dai crogiuoli creativi delle cantine e delle sale prove italiane, si faranno trasportare dalle fiabesche arie suonate dai Genesis (ma non solo da loro) e le mescoleranno in modo molto personale imprescindibile dal carattere latino della nostra musica, cavalcando un'epoca in cui la sperimentazione e la voglia di novità la facevano da padrone.
Arrivano quindi gli anni della consacrazione definitiva ma che tracciano anche il lento declino della creatura Genesis.
Il 1972 vede l'uscita di un altro grandissimo capolavoro: "Foxtrot". La monumentale ed ancora una volta teatrale "Supper's Ready" è una delle elaboratissime suite che rimarranno nella storia del progressive sinfonico e romantico, con i suoi momenti di calma e di ossessione che si intercalano tra di loro. Fanno da cornice a "Supper's Ready" altri bellissimi gioielli incastonati nel disco. La fantascientifica "Watcher Of The Skies", composta sul tetto del Teatro Mediterraneo di Napoli (famoso per aver ospitato la crema del progressive di quegli anni) durante una delle loro innumerevoli tourneè italiane; le fiabesche e sognanti "Time Table" e "Can-Utility And The Coastliners", i cui testi sono da brividi e sembrano direttamente prese da chissà quale fiaba, intrecciandosi con spaccati di musica incredibilmente eseguiti con perizia tecnica; la movimentata "Get 'em Out By Friday" e, concludendo, la delicata "Horizons", le cui note di chitarra fanno volare la mente verso eterei prati settecenteschi ricoperti di rugiada, facendola accostare di peso ad un altro capolavoro di chitarra quasi contemporaneo e capace di far sognare allo stesso modo: "Mood For A Day" di yessiana memoria.
Nel 1973 esce il loro primo disco dal vivo, "Genesis Live" appunto, in cui sono riprese cinque tra le canzoni più significative della loro ancora breve carriera: "Watcher Of The Skies", "Get 'em Out By Friday", "The Return Of the Giant Hogweed", "The Musical Box" e "The Knife". Disco live caratterizzato purtroppo da una registrazione non eccelsa.
Lo stesso anno esce il loro disco più conosciuto e che li ha di fatto consacrati in tutto il mondo, facendoli entrare nell'immaginario musicale collettivo soprattutto dei paesi mediterranei tra i quali l'Italia.
Il disco in questione è "Selling England By The Pound", una chiara metafora che attacca il potere politico inglese dell'epoca attraverso intricati giochi di parole creati quasi "ad hoc" per una rappresentazione teatrale (ancora una volta) dal genio Gabriel.
In questo lavoro s'incomincia a sentire un certo "cambiamento". Insieme agli usuali pezzi più prettamente progressive e "difficili", ve ne sono due un po' più inusuali ed orecchiabili, che segnano "de facto" l'ingresso attivo nelle composizioni di Phil Collins. La seppur molto bella "I Know What I Like (In Your Wardrobe)", interpretata magistralmente dal nostro Peter (da brividi il parlato: "It's o­ne o'clock and time for lunch…), e l'insignificante "More Fool Me" in cui per la prima volta si sente la voce fredda e metallica di Phil Collins. Album che segna l'ingresso della band negli annali della storia del progressive sinfonico ed anche l'inizio della fine dei Genesis. E' anche l'album che ci porta dritti all'ultimo capolavoro concept scaturito dalla mente dei cinque ma soprattutto da quella insondabile di Peter Gabriel.
Si chiude un'era con il 1974 e con l'uscita del doppio "The Lamb Lies Down o­n Broadway".
Ancora una sfilza di piccoli gioielli incastonati ed intessuti in una trama questa volta ancora più teatrale del solito, nella quale Peter Gabriel fa sempre da istrione. E' la storia del portoricano Rael, del suo viaggio fantasioso e completamente fuori dalla realtà verso la società sbrilluccicante di pajettes che lo circonda, è perfettamente interpretata dalla genialità di Peter. Il quale dà per l'ennesima volta prova di saper unire le qualità di attore e cantante e dalle quali, questa volta, nasce la reale volontà di portare in giro per i teatri del mondo l'opera "The Lamb". Un affascinante modo per proporre al grande pubblico il progressive neo-romantico dei Genesis.
Purtroppo, i tempi stavano inesorabilmente cambiando ed anche i gusti musicali della gente. Il lungimirante Phil Collins l'aveva prontamente notato. Gli inevitabili contrasti e le divergenze musicali vennero fuori con tutta la prepotenza di cui furono capaci, andando contro le "pompose" volontà del cantante. Phil Collins in testa, seguito a ruota da Tony Banks e Mike Rutherford decretarono il definitivo allontanamento di Peter Gabriel. L'unico a non pronunciarsi fu il discreto Steve Hackett, il solo forse ad essere sulla stessa lunghezza d'onda di Gabriel.
La lenta e decadente strada verso il declino del sound e delle elaborazioni geniali dei Genesis era cominciato. Vennero prodotti ancora due album discreti nel 1975 e nel 1976: "A Trick Of The Tail" e "Wind And Wuthering". C'era ancora la presenza di Steve Hackett e si sente. Il chitarrista riusciva ancora a stemperare la commercialità di Phil Collins, ora passato anche alla voce. Ma tutto non era più come prima: si era rotto l'incantesimo delle magiche atmosfere gabrielliane...
La dipartita di Peter Gabriel fu un colpo allo stomaco per tutti i fan di quel sound romantico e neo-barocco caratteristico dei Genesis, e per alcuni nostalgici ancora oggi è difficile accettare la voce fredda e metallica di Phil Collins (almeno per il sottoscritto).
I due album con Hackett sono ancora gradevoli ma vengono a mancare per forza di cose quelle arie fiabesche e un po' oniriche di prima, trasformando gli episodi dei dischi in "semplici" canzoni e non in "opere". Citando le seppur carine "Squonk, "Dance o­n A Volcano" ed altri episodi senz'altro degni di nota, si sente la mancanza di qualcosa.
La mentalità manageriale di Collins rivolta al cambiamento dei tempi e del mercato (soprattutto) piuttosto che ad un'intelligente songwriting oramai di nicchia, porta ad un'altra spaccatura: anche Steve Hackett lascia. Era prevedibile.
I Genesis rimangono solo in tre e, sulla falsariga di questa frase, nel 1978 producono "…And Then There Were Three". Album leggero dove prende ancora più piede la forma "canzone" con un hit da classifica quale "Follow You, Follow Me" e qualche altro episodio gradevole ("Deep In The Motherlode" su tutte). Ma oramai siamo alla fine.
La strada intrapresa verso il tramonto è stata percorsa fino alla fine. Quella, cioé, delle raffinatezze progressive e degli elaborati barocchismi che, a distanza di soli quattro anni dalla partenza di Gabriel, sembrano lontani anni luce.
Una strada invece che i Genesis incominciano a percorrere, è quella del grande successo di pubblico e dell'accettazione da parte delle nuove leve di giovani che riempiono a frotte le discoteche e hanno voglia di ascoltare qualcosa di meno impegnativo e più frivolo. Obiettivo, quest'ultimo, alla fine pienamente raggiunto. Di questo bisogna darne atto a Phil Collins, che anche con la sua carriera solista ha raggiunto ottimi risultati di classifica diventando un'icona pop moderna (iniziando con la prima "In The Air Tonight", passando per molte altre hit quali "A Groovy Kind Of Love", "Sussudio" ecc).
I Genesis, col passare degli anni '80 e '90, inanellano un successo dietro l'altro vendendo a bizzeffe.
"Duke", "Abacab", "Genesis", "Invisible Touch", "We Can't Dance" ed il controverso "Calling All Stations", per catalogare solo gli album in studio, rimpinguano le casse dell'"azienda" Genesis portandoli sul piedistallo dell'Olimpo pop.
Per onor di cronaca l'album "Calling All Stations" vede addirittura l'abbandono di Phil Collins e l'entrata di Ray Wilson alla voce. Forse è una coincidenza, ma in questo disco c'è un ritorno a certe sonorità rock più dure del solito ed un po' più lontane dalle logiche di classifica.
Però è stato inesorabile l'impoverimento dell'anima stessa della musica da loro suonata.
Ed è per questo motivo, purtroppo, che l'abilità di manipolare l'immaginario collettivo, la capacità di far sognare gli animi sensibili a certe
raffinatezze e forse la loro stessa capacità di sognare, non esiste più da tempo.


Daniele Cutali (da www.movimentiprog.net)