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Glenn Miller, il jazz per fare soldi

 

Nell'agosto del 1935 l'orchestra di Benny Goodman, clarinettista che aveva lavorato con i gruppi di Ben Pollack e di Red Nichols, ottenne un trionfale successo al Palladium di Los Angeles. Cominciò quella che si sarebbe chiamata la Swing Age: il jazz da allora per un po' si chiamò swing. La nuova musica, colta e da ballo insieme, promosse il successo delle orchestre nere, di Count Basie, Chick Webb e Cab Calloway, e bianche di Woody Herman, di Artie Shaw, di Tommy Dorsey. Nel 1937 Alton Glenn Miller, trombonista che aveva anche suonato con Goodman e arrangiatore che aveva già lavorato per le formazioni di Pollack, Nichols e Dorsey, fondò a trentatré anni la propria orchestra, destinata a diventare la più famosa e seguita di tutte, e non solo in patria. Non un'orchestra di jazz, nelle intenzioni, ma un'orchestra da ballo pur con alcuni notevoli solisti e arrangiatori intelligenti.
Non ce la fece subito, la prima orchestra fallì; la ricostruì l'anno dopo: nel 1939 pose le basi del successo raggiungendo a metà di quell'anno un pubblico di 1800 persone per una serata. Glenn Miller era un perfezionista, e questo con l'ampliarsi delle formazioni e l'acuirsi della velocità degli insieme, soprattutto per la creazione degli scattanti unisoni detti riff che dovevano sostenere con inesausta energia e precisione gli assoli, era assai importante. Se poi alcune big band di successo potevano contare sull'intelligenza creativa di solisti eccezionalmente creativi (pensiamo a Lester Young o Hot Lips Page da Count Basie, a Chu Berry con Cab Calloway, alla presenza di Charlie Christian e di Lionel Hampton nell'Orchestra di Goodman), per distinguersi alla radio e nelle sale da ballo Miller pensò a un suono. Non molto diversamente da quello che aveva fatto Duke Ellington, che però non serviva alla danza. Miller voleva il successo, e lo conquistò con alcuni ben meditati ingredienti: la dolcezza del ritmo, la semplicità dei brani, un certo contrasto della tessitura orchestrale continuamente rinnovato e destinato a non generare mai un senso di noia con continui intrecci strumentali e appropriati sbalzi dinamici.
La mescolanza delle sonorità dei quattro sassofoni con quelle del clarinetto solista, innanzitutto, poi la dolcezza delle trombe e soprattutto dei tromboni spesso sordinati (lui, per altro, non era un gran solista, e lo sapeva), la lievità e precisione della spinta della batteria, crearono una sonorità unica. La fluidità d'incrocio delle cinque ance, estremamente agili, permetteva di ascoltare una musica che sembrava ininterrotta, costruita su un respiro unico, che conquistava l'orecchio. Alcuni dei suoi lavori sono talmente ben congegnati da restare immortali. In The Mood, con la sua discreta complessità armonica, Tuxedo Junction, Pennsylvania Six Five Thousands (forse il numero di telefono più famoso della storia della musica) non hanno perso alcun potere di attrazione; altri basati sul canto delicato e privo di vibrato dei The Modernaires come il "ferroviario" Chattanooga Choo Choo sono ancora un'immagine dell'America anche per il successo milionario che ottennero. Poi, nel settembre del 1942, l'uomo che aveva chiesto a un critico importante di non essere giudicato come un musicista perché "tutto quello che mi interessa è far soldi" sciolse un'orchestra che vendeva 100.000 dischi al mese e si arruolò. Fondò l'Army Air Force Band, orchestra di tutte stelle dell'esercito e dell'aeronautica, con diciannove jazzisti, un corno, ventidue archi. Accompagnò i suoi soldati in Europa, ma durò poco: il 15 dicembre 1944 l'aereo in cui viaggiava il maggiore dell'aeronautica Glenn Miller che stava andando a dirigere all'Olympia nella Parigi liberata fu abbattuto in volo tra Londra e Parigi, probabilmente da "fuoco amico". Ma il fascino della sua musica, ormai dolcemente nostalgico, è rimasto intatto, riprodotto ora come allora da un'orchestra che conserva il suo nome.

 

Da www.sistemamusica.it