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Igor Stravinskij: attualità del Maestro russo

 

"La maggior parte delle persone ama la musica in quanto si propone di trovarvi delle emozioni quali la gioia, il dolore, la tristezza, un'evocazione della natura, lo spunto per sognare o ancora l'oblio della "vita prosaica". Vi cerca una droga, un doping. Non ha importanza se questo modo di capirla venga espresso direttamente o attraverso un velo di circonlocuzioni artificiose. Sarebbe ben poca cosa la musica, se fosse ridotta a una simile destinazione. Quando la gente avrà imparato ad amare la musica in sé e per sé, quando l'ascolterà con un altro orecchio, il suo godimento sarà di un ordine ben più elevato e più potente e tale, allora, da permetterle di giudicare la musica su un altro piano e di rivelarle il suo intrinseco valore." (I. Stravinskij, Cronache della mia vita).
L'attualità di Stravinskij è indiscutibile, la sua musica ha saputo farsi amare dal grande pubblico e dalla critica ed è diventata punto di riferimento per le ultime generazioni di compositori di tutto il mondo. Nato in Russia nel 1882, muore a New York il 6 aprile del 1971.
Non è più l'epoca dei musicisti da lavagna (come diceva Cocteau) e dei messaggi nella bottiglia, dobbiamo sostituire l'idealistica metafora di Adorno con una quotidiana operatività che, grazie a una segnaletica chiara ed esplicita (che non vuol dire accondiscendente ai gusti del pubblico) sappia farsi viatico di collegamento fra opera e mondo. Per parlare in termini di musicologia tradizionale, la contrapposizione fra Schönberg e Stravinskij, così come l'ha impostata Adorno, non ha oggi senso, va semmai vista come una contra-posizione, ovvero come occupazione di spazi operativi diversi. Di questi spazi quello che si è dimostrato più aperto e trasversale è senz'altro quello stravinskiano, meno monolitico, non solo tecnicamente, ma anche culturalmente ed espressivamente, sa aprirsi a ventaglio e cogliere fermenti diversi, in una disponibilità anche verso quella frugalità della vita di tutti i giorni, disprezzata dall'idealismo post-romantico. Nel far convivere il problema rigoroso della forma con le varie esigenze di ascolti mutevoli (razionalistici, psicologici, intuitivi, ludici ecc.) sta uno dei maggiori problemi della musica contemporanea, già affrontato e felicemente risolto – con gli strumenti della sua epoca – da Stravinskij che, proprio per questo, può considerarsi un musicista attualissimo.
Il feticismo della struttura e della neo-serialità appartiene ai "nipotini di Damstadt e, in Italia, solo a un certo ambiente milanese, rappresenta (riutilizzando la terminologia adorniana) la vera "restaurazione", mentre il linguaggio e ancor più l'atteggiamento mentale di Stravinskij, aperto e curioso, si inseriscono a pieno titolo in quel molteplice ch'è il tratto saliente della cultura (musicale) degli ultimi vent'anni almeno. In un certo senso Stravinskij anticipa lo stile post-moderno, nell'utilizzazione pragmatica degli elementi storici, senza però banalizzarli in una musica easy da arredo metropolitano, com'è avvenuto con l'effimero del neo-romanticismo; al contrario Stravinskij sa mantenere e trasmettere quella magia, quel senso rituale e del sacro che la vera musica comunica.
Non c'è dubbio che il musicista dell'inizio del III millennio sia un artista nomade, un apolide che ha superato il gravoso senso di responsabilità nei confronti della Storia e dello Stile, la prima sostituita con la geografia e il secondo con l'occasionismo, in ogni caso tutti i materiali vengono costantemente rimodellati e ricombinati. Oggi sembra non esistere alcuna possibilità del "nuovo", ma solo un rimescolamento. Il musicista è davvero un artigiano manipolatore, proprio come lo fu Stravinskij, padre della modernità.
Non ingannino le dichiarazioni di oggettivismo, quando Stravinskij dice che "considera la musica impotente a esprimere alcunché", non intende negare la capacità di suscitare un coinvolgimento emotivo, ma prende le distanze da un ascolto passivo, abbandonato ai sogni, una presa di distanza necessaria per riscoprire un modo più virile per "amare la musica in sé e per sé", amare quindi la musica e non le proprie fantasie, come "una droga, un doping". E' anche una rivolta alla retorica ottocentesca (quella del genio, dell'ispirazione, dei sentimenti passionali, dello psicologismo esasperato, delle anime belle….), era necessario prendere le distanze dalla forma di comunicatività troppo umana degli espressionisti. Ma non è un voler paralizzare le funzioni emotive, anestetizzare i significati, è, molto più semplicemente, un riportare la musica, dopo il sublime romantico, su piani che le sono più consoni, forse anche più tradizionali come quelli legati a un classicismo apollineo.
Stravinskij, togliendo al suono i facili sentimentalismi da rotocalco, ridà al suono una nuova dignità, spogliandolo non solo dalla poetica romantica, ma anche da teorie positivistiche, da ogni ideologia e sociologismo; così il suono, finalmente nudo, "naturale", secondo quanto dice Schneider, torna a esprimere le proprie ragioni: "io compongo a contatto diretto con la materia sonora". E' questo "contatto diretto" con la dimensione del suono che conduce a una forma naturale, quasi estemporanea, che descrive l'essere (musicale) tale e quale è, l'essere che ha luogo, che nel suo trasformarsi diventa ciò che è. I suoni si dis-pongono seguendo non i classici sviluppi tematici, non creano vie univoche di collegamento lineare, semplicemente realizzano il proprio aver luogo, il loro essere così, come avviene nell'improvvisazione: "mi sentii spinto a improvvisare e mi abbandonavo a questa attività".
Stravinskij non è quel cinico speculatore descritto da suoi denigratori, tutti fortemente emuli dell'ideologia adorniana, anzi può essere addirittura descritto, se si assume una prospettiva diversa e più classica, come l'artista "sentimentale", così come lo definì Schiller: "il vero poeta sentimentale è colui che ha la pura innocenza del bambino, la sua ingenuità nel modo di pensare". Nel modo di smontare e (ri)costruire i materiali musicali, Stravinskij pare procedere proprio come il bambino nei suoi giochi e il gioco, si sa, è metafora di vita. Come il bimbo, Stravinskij ha la capacità di possedere le cose. "E' nel libero gioco che l'opera si rivela e si giustifica" dichiara il Maestro.
Nietzsche dice ch'è proprio nel puro giocare, senza funzioni e scopi al di là delle proprie regole e delle finalità interne, che s'incontra il destino. E Stravinskij è davvero un Maestro nei caleidoscopici giochi sonori che, senza mai cadere nella poetica della contaminatio e del pastiche, sa rispecchiare il continuo flusso vitale che, come una spirale, sempre gira intorno a elementi storici, nell'eterno ritorno del sempre uguale nel differente.
Stravinskij è un fagocitatore par excellence, ma in lui gli elementi che vengono ripresi si caratterizzano non per la somiglianza al modello, ma per la diversità, è la lontananza che interessa, la maniera nuova del trattamento, fatta di corrosiva ironia (sull'importanza dell'ironia nell'arte s'è scritto molto, purtroppo è rarissima nel serioso e sussiegoso panorama della musica contemporanea). In un certo senso, la lontananza assume la funzione dei vuoti nell'architettura. Non è sul modello formale, preso a pretesto, che si deve concentrare l'attenzione, ma sulla ricchezza di suono. Il rigor mortis della filologia musicale, che troppo spesso ha fornito la falsa immagine di una musica stravinskiana "fredda" e "tecnicistica". Il Maestro russo è molto attento all'organizzazione formale, ma si lascia prendere anche dal fortuito che, inatteso, incontra nel costruire e stimola la "fantasia" e il "capriccio". Le forme storiche, che Stravinskij prende come punto di riferimento o di partenza, vanno intese non in maniera accademica, ma dinamica e in divenire: "la tradizione è cosa ben diversa da un'abitudine \…\ una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente".
E' il tempo musicale, assolutamente nuovo, che rende la musica di Stravinskij differente dalle forme tradizionali e straordinariamente attuale, un tempo non uniforme e cronometrico, ma che supera o contrasta lo svolgimento lineare, astraendolo. Spostando e sovrapponendo tempi e ritmi, decentrando le parti tematiche e melodiche, sommando tonalità diverse o tonalità e modalità, Stravinskij forma una temporalità musicale instabile, in quanto priva di punti di riferimenti certi, creando, di volta in volta, un ordine spazio\temporale originale.
L'insegnamento ritmico di Stravinskij è basato sui mutevoli accenti, sul metro desueto e sciolto (a volte di origine greco-orientale), l'ictus sta in sede eccentrica, mentre gli abbellimenti multipli tendono a rendersi autonomi. In fondo Stravinskij realizza una moderna sprezzatura: "il proprium di quest'arte è tendente non già a rinvigorire un ritmo salvandolo dall'ovvia scansione, quanto a rapprenderlo, a raggelarlo in fissità immote. Stravinskij inaugura, o almeno riprende dopo secoli, nell'ambito del tardo pensiero tonale, le formule magiche, gli abracadabra che impietrano".
Stravinskij si avvicina alla musica non solo per curiosità intellettuale, ma per esigenze pratiche: gli interessa sapere come è fatta la musica e come si procede per farla. Le doti superbe del giovane Stravinskij sono dimostrate già nella Sinfonia in mi bemolle dove la tecnica armonica del tempo è padroneggiata mirabilmente. Successivamente sarà l'ambiente francese a indirizzarlo verso nuove acquisizioni, dopo Fuochi d'artificio che varrà Stravinskij il primo colpo fortunato della sua vita, quello di attirare l'attenzione di Sergei Diaghilew (1872-1929), conosciuto nei circoli d'avanguardia della Russia d'inizio secolo, dove il coreografo era già noto anche per aver fondato, nel 1898, la Rivista "Il mondo dell'arte". Ne L'uccello di fuoco (1910) è ancora evidente l'influenza orchestrale di Rimskij-Korsakov, col quale Stravinskij aveva studiato privatamente cinque anni, ma si individuano alcune caratteristiche tecniche che diverranno proprie allo stile stravinskiano: come l'accodo di nona di dominante sul quale gravitano anche gradi cromatici e ornamentazioni, e come il mantenere la scrittura armonica su un doppio binario, infatti le parti realistiche della storia del balletto ricorrono alla musica popolare di stampo diatonico, mentre le parti fantastiche utilizzano il cromatismo. Allo stesso metodo fatto di livelli contrastanti Stravinskij fa ricorso pure in Petrouchka (1911) in quanto le scene della fiera sono diatoniche con numerosi inserimenti di canti popolari russi, mentre la musica dei burattini è bitonale, le cui fondamentali stanno in rapporto di quarta eccedente; dall'unica cellula armonica dell'accordo naturale di nona vengono generati due nuovi nuclei, capaci, a loro volta, di vari sviluppi e impieghi (la stessa simultaneità maggiore-minore è ascrivibile all'alterazione dell'accordo di nona). Agli stessi ricchi aggregati armonici, che potremmo definire politonali e polimodali, della Sagra della primavera (1913) sono ascrivibili le estese zone melodiche. L'irregolarità ritmica è accentuata, con ripetizioni o esclusioni di certe parti interne alle frasi che spezzano la simmetria e giungono a notevole complessità, anche per la sovrapposizione di ritmi. La scrittura gira spesso in attorno a poli tonali-modali, anche se tali poli vengono sottoposti a un allargamento che genera forti tensioni in virtù di appoggiature non risolte, di accordi dissonanti o disposti su piani separati. Le linee melodiche o polifoniche sono generalmente basate su un diatonismo primitivo (su modi difettivi di cinque suoni). Molta attenzione è posta all'articolazione: fra il legato morbido e lo staccato secco, Stravinskij impiega tutta una serie di modi di attacco che conferiscono una tendenza dinamica a tutta la composizione. In questa prima fase fa uso della grande orchestra, poi, da Le Rossignol del 1916 in avanti, comincia a trattare gli strumenti singolarmente o in piccoli gruppi, in modo concertante, con il risultato di ottenere timbri puri e un tessuto orchestrale trasparente e leggero, come nella Storia di un soldato del 1918, dove si pone l'obiettivo di una tensione armonica anche con poche parti a disposizione.
Negli anni Dieci, nel panorama musicale europeo dominano il post-impressionismo e il post-wagnerismo, così le nuove sonorità dei balletti di Stravinskij fanno scandalo, ma sono destinate a durare poco, infatti nel 1919 la proposta di Diaghilew di scrivere un balletto basato sulla musica di Pergolesi (Pulcinella) orienta Stravinskij verso uno stile che sarà definito "neo-classico" e che rimarrà costante fino a La carriera di un libertino (1951). In Pulcinella le melodie sono tratte in modo rispettoso da Pergolesi, mentre la dimensione armonica si basa sulla polidiatonicità, creando zone ibride fra accordi, con note estranee e ostinati che forniscono una particolare spigolatura al blocco sonoro; ovviamente anche i procedimenti ritmici sono del tutto estranei allo stile settecentesco: asimmetria metrica, accenti spostati, sincopi ecc. Nel brusco accostamento, nella diversità fra il modello e il linguaggio di Stravinskij si pone la modernità di questa prassi che mai si inchina a uno schema, ma lo vivifica nei trattamenti a cui viene sottoposto, filtri assolutamente inventivi e dinamici. Nel travestimento dello stile classico, Stravinskij giunge a una stilizzazione davvero sorprendente, nell'oratorio Oedipus rex (1927) è come se il linguaggio della tradizione classica venisse schedato e filtrato attraverso una serie di elisioni e di deformazioni. E' questa la fase compositiva presa di mira dallo schieramento filo austro-tedesco, una fase ricca di affascinanti balletti come Il bacio della fata (1928), Giochi di carte (1936) e Orpheus (1947), di opere dal tratto personalissimo come Mavra (1922) e Persephone (1934), nonché di una ricca serie di Concerti, per pianoforte (1929), per violino (1931) o per clarinetto (1945) e di Sinfonie (1907-38-42). Nello stesso periodo vedono la luce anche brani d'ispirazione religiosa; Stravinskij aveva abbandonato la fede ortodossa in gioventù, ma negli anni Venti ritorna alla religione d'origine e nel 1926 compone il testo slavo del Pater noster, seguono altre composizioni come il Credo (1933), l'Ave Maria (1934) e quindi la Messa (1944-48): in queste opere scompaiano sia l'irruenza del ritmo sia l'astrattezza del puro gioco, vi è invece una serena quiete diatonica, un uso delle modalità gregoriane rivolte alla drammatica invocazione, alla fervida preghiera, a una dolorosa interrogazione. Anche nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando Stravinskij rimedita sulla dodecafonia, vengono scritti brani religiosi come Canticum (1955), Threni (1958) e Sermoni (1961).
Come a Picasso, anche a Stravinskij vengono individuati vari stili, al di là delle classificazioni che sono troppo schematiche per costituire un serio discorso critico, va comunque notato che, dopo il periodo neo-classico, Stravinskij si sposta ancora e il suggerimento verso la nuova scrittura gli viene, in continuità con quanto aveva fatto fino ad allora, dallo stile pre-armonico, cioè dallo storico contrappunto quattro-cinquecentesco e dalla tecnica contrappuntista in sé, come procedimento tecnico speculativo. La Cantata del 1952 mostra come il Maestro voglia assimilare la polifonia antica alla decantazione della scienza armonica. Quando, in questa neo-polifonia stravinskiana, fa la sua comparsa la serie è inevitabile che la scrittura assuma tratti weberniani. Con la sua "conversione", Stravinskij non fa che affermare la liceità del relativismo contrappuntistico, già impiegato in campo diatonico, assegnando ai 12 suoni uguale importanza e relegando nelle zone meno evidenti le attrazioni tonali. La composizione di più stretta osservanza seriale è The flood (1961-62), dove la struttura è molto densa, risultante da un gioco stretto di intervalli, l'integrale cromatico è dato da un sommasi di quinte, le quali generano, nelle sette note inferiori, la scala di re bemolle maggiore e nelle sette note superiori la scale di re maggiore (la coppia di note Fa diesis-Sol bemolle e do diesis-Re bemolle è comune alle due scale). Queste due strutture diatoniche si strutturano come piani mobili, sui quali si costruisce tutto il pezzo. E' questo un modo assai tipico di Stravinskij di avvicinarsi alla dodecafonia, che, se da una parte richiama Webern, dall'altra è anche affine a certi procedimenti di Berg, con ingegnosi richiami tonali e con una cantabilità pronunciata, esente però dai forti connotati espressivi.
E' indubbio che il suo spostamento negli Stati Uniti, avvenuto nel 1939, abbia giovato a Stravinskij nel chiudere il periodo neo-classico e nell'affrontare, da lontano quindi in maniera più distaccata, la problematica della serialità. Le prime composizioni americane sono ancora legate alla rivitazione personale del classicismo che si conclude nel 1951 con The Rake's progress, mentre con brani quali Settimino (1953), Tre canti da William Shakespeare (1953), In memoriam Dylan Thomas (1954), Canticum sacrum (1955) e altri brani d'ispirazione sacra, Stravinskij si mantiene in un'orbita d'impronta seriale, come nelle due ultime composizioni strumentali di grande respiro Movements (1959) per pianoforte e orchestra e Variazioni orchestrali (1964), dove il discorso musicale è denso e in continuo movimento e trasformazione, con una contrazione del tempo che rende ogni attimo sonoro profondamente ricco e caleidoscopico. Ancora una volta, quindi, Stravinskij da' prova della sua straordinaria duttilità a maneggiare tecniche disparate e, soprattutto, a ripresentarle in maniera assolutamente originale, tanto da lasciare in eredità non solo indimenticabili capolavori amatissimi da pubblico e critica, ma anche alle ultime generazioni di compositori un modo straordinariamente abile e libero di affrontare la materia sonora, fatto di mille sollecitazioni e di forza centripeta a un tempo, indicando la possibilità di conciliare curiosità e rigore.

 

Renzo Cresti (da www.orfeonellarete.it)