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Il lago dei cigni, il Romanticismo per eccellenza

 

Oggi può sembrare incredibile, ma l'esordio del Lago dei cigni di Tchajkovskij fu un autentico "insuccesso": il 20 febbraio del 1877, al Bol'šoj, la coreografia dell'austriaco Wenzel Reisinger non piacque al pubblico e non convinse la critica, così che dopo 39 rappresentazioni fu archiviata. Eppure, quella sera, era nato un nuovo genere di danza e di musica per la danza: "Il balletto è anche una sinfonia", dirà poi Tchajkovskij, compositore dalla sensibilità acuta e dalla fantasia romantica, che già si era esercitato su una piccola storia di laghi e di cigni a beneficio dei nipoti nella casa di campagna dell'amata sorella.
Qualche tempo dopo, il principe del suo balletto per adulti, Siegfried, si innamora della bella Odette, candido "cigno del lago" di giorno per via dell'incantesimo del mago Rothbart, e dolce fanciulla di notte, giurando di liberarla con il suo amore eterno. Ma quando, per volontà della Regina Madre, alla festa sontuosa in cui dovrà scegliere la sua futura moglie tra molte principesse d'ogni dove, punta sul cigno nero Odile, scambiandola per l'amata, condanna di fatto a morte con il suo tradimento la tenera Odette e se stesso. Insieme perderanno la vita nel lago fatato in tempesta.
Questa la vicenda di base, che il 27 gennaio 1885 prenderà nuova vita nel leggendario Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, a opera di Marius Petipa, francese, per il primo e terzo atto, quelli terreni, e di Lev Ivanov, russo, per il secondo e il quarto, quelli dei tutú bianchi che tuttora incantano le platee di tutto il mondo. Allora fu l'italiana Pierina Legnani a danzare nel doppio ruolo di Odette-Odile, un banco di prova per qualunque ballerina, lirica e palpitante come cigno bianco, seducente e persino maligna come cigno nero.
Da quella data il balletto-simbolo del repertorio romantico non ha mai più abbandonato le scene russe, nutrendosi dell'apporto di una lunga lista di metteur en danse, da Aleksander Gorskij ad Asaf Messerer a Vladimir Bourmeister e, a Leningrado (il nome sovietico di San Pietroburgo) da Fyodor Lopoukov ad Agrippina Vaganova a Konstantin Sergeev, e si è poi diffuso in America e nell'Ovest europeo nell'interpretazione delle più grandi compagnie, sempre per il tramite di coreografi russi, da Nikolaj Sergeev a Londra a George Balanchine a New York, allo stesso Bourmeister e a Rudolf Nureyev a Parigi.
Nella sua lunga avventura attraverso i secoli, va detto che il Lago russo ha visto infiniti ritocchi, revisioni, aggiunte, spesso con l'intento di trovare una chiave logica e positiva al plot, provando vari finali, dal più ottimistico con il Principe che batte Rothbart in duello e salva tutti i cigni, in auge soprattutto negli anni Trenta, positivamente socialisti, al più commovente, con la sola morte di lei, per una storia che però vive - deve vivere - invece di mistero e di poesia. Al Bol'šoj di Mosca le incrostazioni di tanti interventi sono state ricondotte all'ordine da Jurij Grigorovic nel 1969 - con debutto la sera di Natale - mirando a tornare alle origini, allo spirito che animò la composizione tchaikovskiana, e contrapponendo il sogno d'amore ideale alla disillusione della dura realtà: la gioia perfetta non dura che un breve momento, prima del disinganno e del dolore. Il Principe, per Grigorovic, diventa così un personaggio sfaccettato, un eroe romantico che si sdoppia/contrappone al lato oscuro della sua stessa anima, al male, cioè Rothbart, mentre Odette e Odile sono i due volti di una stessa complessa natura femminile. Tecnica e stile vengono, dunque, piegati all'integrità drammaturgica del libretto indagato nei suoi significati riposti e alla natura della musica che li suggerisce.
L'attuale edizione di Grigorovic, che inaugura il nuovo millennio, parte dalle scoperte di allora e dalle riflessioni di ora, sulla scorta della profonda conoscenza dell'evoluzione del Lago dei cigni nella cultura teatrale russa e occidentale. Non più una favola, ma una "novella romantica" in due soli tempi, che alternano scene realistiche e scene fantastiche senza soluzione di continuità. E mentre, in Occidente, il Lago non cessa di ispirare nuove versioni, radicalmente alternative, da quella di Mats Ek, con i suoi cigni unisex calvi e scalzi e la Regina-Rothbart, a quella gay di Matthew Bourne allusiva della Casa Reale britannica, a una imminente, e certo dissacrante, di Jan Fabre per il Balletto delle Fiandre e a un'altra ancora, anche questa prossima, di Hans van den Broeck, Le lac des singes, o delle scimmie, anziché "des cygnes", giocando con i nomi e con le idee, da Mosca arriva un gioiello, figlio della grande tradizione, che porta in sé tutto il sapere dell'eredità che dall'Ottocento giunge a noi, levigata come una pietra preziosa, rifinita, lustrata, accarezzata come il pezzo prediletto dello scrigno della memoria.

 

Elisa Guzzo Vaccarino (da www.sistemamusica.it)