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Il sonoro e il femminile

 

L'esperienza cui mi riferisco si è svolta all'interno di un progetto articolato, in cui le utenti hanno compiuto un percorso di sei mesi, costituito da incontri verbali ed espressivi, il cui obiettivo primario è stato di porre l'accento sulla possibilità di guardare al proprio essere donne (figlie, madri e mogli) come qualcosa che non debba necessariamente replicare copioni familiari e generazionali già scritti. Le utenti di età comprese tra i 20 e i 35 anni, appartengono a classi disagiate, ma soprattutto sono accomunate da storie in cui la violenza (sia fisica, sia psicologica) ha giocato un ruolo determinante nella vita di ciascuna e in cui le difficoltà nella gestione dei rapporti con l'altro polo della relazione è sempre presente in modo problematico; ancora emerge per tutte il rivestire all'esterno ruoli di madri, mogli, compagne, ma il vivere dentro di sé irrisolti nodi nelle relazioni con i propri genitori. Il gruppo è composto da sette pazienti, me come conduttore del laboratorio di musicoterapia, due colleghe psicologhe conduttrici dei gruppi verbali ed un'osservatrice silente; tranne l'osservatrice tutte partecipiamo attivamente al gruppo suonando. Il gruppo si svolge in una stanza in cui sono presenti le sedie in cerchio e al centro gli strumenti musicali, in un angolo il registratore. La scelta metodologica effettuata è quella dell'alternanza dei codici non-verbale e verbale, legati a diversi momenti della seduta.
Dal punto di vista musicoterapico si è utilizzata l'improvvisazione sonoro-musicale con l'intento di favorire la libera espressione di sé, di lasciare emergere l'identità sonoro-musicale di ciascuno; considerando tale modalità di lavoro vicina ad un tipo di conduzione propria dei gruppi analitici, nei quali la "consegna" del dare libero corso a pensieri ed emozioni sembra del tutto analoga. La regola della libera associazione è riconducibile al gruppo d'improvvisazione, in cui ciascuno porta frammenti che si ricompongono all'interno dell'esperienza del gruppo, nell'hic et nunc.
"L'improvvisazione - scrive Edith Lecourt - si situa come produzione intermedia tra la riproduzione e la creazione; viene valutata in rapporto a un modello e ogni cultura le dà un ruolo particolare". Ciò è del tutto assimilabile a quello che avviene nei gruppi di musicoterapia, in cui ciascuno improvvisando può esprimere parti nuove e creative tuttavia inscritte in una continuità con ciò che è familiare, transpersonale, ed il cui grado di libertà dipenderà dalla possibilità per ognuno di riattraversare un pensiero familiare dotato di spazi o, al contrario, saturato in ogni sua significazione. La seduta di musicoterapia si è così avvalsa della seguente articolazione: improvvisazione sonoro-musicale, ascolto, verbalizzazione. La circolarità di tale schema ha fatto sì che la seduta si aprisse con l'ascolto della produzione della seduta precedente, la verbalizzazione su questa ed una nuova improvvisazione.
Il processo che il gruppo, pur nella sua brevità, ha compiuto si è esplicitato sia a livello analogico sia in quello più propriamente analitico. L'apertura del gruppo è caratterizzata dall'utilizzo di uno strumento che rivestirà un ruolo centrale nella storia del gruppo stesso: le campane a vento, strumento estremamente ricco di armonici che sarà simbolo di una femminilità ricca ma compressa. La prima a suonarlo è P. (paziente che soffre di attacchi di panico, con una storia di violenze sia fisiche sia psicologiche da parte della madre); ella lo suona per breve tempo, essendone attratta e sconcertata al contempo. Lo strumento stesso viene preso e a lungo suonato da A. che gli dà uno slancio bloccato poi da un gesto della mano, in cui il suono si frantuma, si blocca e resta compresso. Quest'apertura del gruppo troverà poi spazi di elaborazione verbale, nella sottolineatura sia degli elementi non-verbali (la gestualità, la mimica, il suono) sia delle associazioni delle pazienti rispetto a sé. Così le campane a vento sono la voce di P. che chiede aiuto, che non è ascoltata (che è chiusa in una stanza al buio nel ricordo di una punizioni infantile), ed è anche l'impedimento interno che non consente ad A. di esserci in modo creativo.
L'alternarsi durante la produzione sonora, di momenti di sperimentazione e momenti di integrazione, è da ricondurre a due livelli che s'intersecano: quello musicoterapico e quello gruppale.
A livello musicoterapico vi è una prima fase esplorativa in cui la curiosità si esprime attraverso sperimentazioni sonore piuttosto libere, tipiche di un atteggiamento iniziale di ricerca; ciò specularmente esprime il senso di una fase in cui si è in gruppo senza essere un gruppo...
La disarticolazione sonora iniziale è altresì la manifestazione di un corpo fatto di parti non ancora amalgamate, le cui dissonanze appaiono come tentativi di posizionare tali parti in modo funzionale. Tale immagine ci aiuta a visualizzare un'esperienza che in modo estremamente rapido ha avuto un'evoluzione a livello musicoterapico e gruppale. La disarticolazione intesa in tal senso, si collega all'evoluzione verso momenti di integrazione su base ritmica piuttosto immediati. Infatti, durante la prima improvvisazione emergono in modo massiccio tratti specificamente femminili che nelle caratteristiche ritmiche (accelerazioni e ritmi sostenuti) trovano il loro spazio espressivo: la carica energetica, gli elementi seduttivi e la forte integrazione comunicativa, sono i tratti di una produzione gradevole all'ascolto, con momenti di sperimentazione esplorativa personale (riconducibile alla catarsi cioè al decongelamento delle emozioni), espressione di una ricerca soggettiva fisiologica alla fase costituiva del gruppo, ma anche con accoppiamenti sonori, scambi e molteplici sincronizzazioni (questi ultimi elementi sono riconducibili ai fattori terapeutici rispecchiamento e risonanza).
L'ascolto della produzione ha poi fatto emergere un quantitativo di associazioni soggettive e di scambi emozionali intensi tra le partecipanti. L'attenzione e la focalizzazione dei tratti sonori di ciascuna delle pazienti ha aperto alla possibilità di guardare ad un modo di essere che riproponeva elementi specifici e problematici di ciascuna di loro (anche qui ci sembra di poterci riferire sia agli elementi interpersonali sia all'autorivelazione di sé). Tutto ciò non si esprimeva solo verbalmente attraverso le associazioni e i vissuti emozionali legati all'esperienza del gruppo di improvvisazione, ma anche durante l'ascolto con l'agitarsi a lungo sulla sedia, con il non tollerare il riascolto della propria produzione e con l'uscire dalla stanza o con il riconoscere come proprio il suono di altri. Infatti, le emozioni esperite durante l'improvvisazione trovavano poi come due possibili esiti durante il riascolto a distanza di una seduta: una possibilità era il tentativo di difendersi dal vortice emotivo, distanziandosi attraverso valutazioni estetiche della produzione; o l'essere totalmente immersi in una dimensione profonda talmente forte da non poter essere verbalizzata. Tra queste due modalità vi era poi il tentativo di dar voce ad emozioni ugualmente intense da dover essere impedite (con la razionalizzazione), o agite e messe in scena (con l'uscire dalla stanza).
La possibilità di rendere parlabili tali emozioni sembrava poter gettare nuova luce su esperienze legate al proprio modo di essere e di relazionarsi agli eventi della vita, in rapporto alla propria storia. Così ad esempio per F., paziente con una famiglia per la quale essere donna implica ripercorrere ruoli e modi già previsti, l'elemento di rottura era il poter studiare la musica e suonare, nel tentativo di rompere uno schema familiare (si è ritrovata intrappolata nella famiglia, poiché ammalata di sclerosi multipla). F. nella prima seduta verbalizza la sua volontà di non suonare, partecipando solo all'esplorazione sonora e restando poi seduta senza toccare strumento. Nel riascolto, la stessa paziente si identifica totalmente con le produzioni di un'altra partecipante, ma soprattutto con la possibilità di avvicinarsi allo strumento (un djambè di grosse dimensioni) che, posto al centro della stanza, sembra rappresentare per le pazienti un oggetto desiderato e temuto, di natura fallica. Così F., la cui vita sessuale è problematica ed il cui corpo sembra invadere lo spazio, pare proiettare sullo strumento rabbia e desiderio con eguale proporzione. Ed ancora N., una paziente che parla poco nel gruppo ed appare molto fragile: nel gruppo di musicoterapia trova un canale preferenziale di espressione di se stessa. Ci racconta sonoramente pezzi della sua storia alternandoli con pezzi dei suoi bisogni: N., infatti, sperimenta numerosi strumenti, è come alla ricerca, ascolta molto, fa lunghe pause durante le produzioni; ciò sembra legato al suo modo di essere, mentre poi le sue lunghe scariche sul timpano, violente e inarrestabili, e con una mimica stravolta dalla sofferenza, ci parlano dei tanti dolorosi episodi di violenza subita: si alternano la sofferenza e la rabbia talmente intensamente che N. non riesce a riascoltarsi, ha bisogno di allontanarsi dalla stanza. (In questi esempi è evidente il riferimento ai processi di identificazione, proiezioni, identificazione proiettiva e comunicazione inconscia).
Il guardare alle angosce, alle paure, alle impossibilità, sembra essere stato il tema di apertura di questo gruppo che trovava poi un'immediata controparte in una richiesta di contenimento e di accadimento, espressa a livello sonoro-musicale nella successiva improvvisazione. La stanza dei giochi di infanzia, con i suoni dei metalli (simili ai carillon), l'abbandono totale delle percussioni, il prevalere della melodia ed il tentativo di strutturare e chiudere le proposte sonore. Tali elementi suggeriscono un bisogno di rassicurazione, una chiusura difensiva fisiologica dopo la precedente intensa esperienza emotiva. Anche i momenti di ripiegamento individuale sembrano legati alla necessità di riappropriarsi di uno spazio soggettivo all'interno del gruppo; la dimensione gruppale è comunque sempre presente per le pazienti che ora danno spazio all'ascolto e al maggiore rispetto dello spazio di ciascuna. Anche le associazioni verbali si collegano ai bisogni manifestati sonoramente: le pazienti esprimono serenità e la sensazione di essere state sedate dopo emozioni troppo violente. F. ha sedato e sedotto il gruppo con le canzoncine dell'infanzia, rassicurandosi e avvicinandosi a ciò che per lei è trasgressivo in modo cauto e razionale, verbalizzando l'impossibilità di disconoscere ciò che appartiene a sé, per quanto doloroso. La possibilità di esprimere le angosce, come i bisogni di rassicurazione, le paure come i desideri, sembra aver lasciato evolvere il gruppo verso una sempre maggiore possibilità di scambio relazionale. Le improvvisazioni paiono esprimere chiaramente un riconoscimento fondamentale del gruppo nei confronti di sé stesso e si sente la presenza di una matrice su cui poter fondare una dimensione di reciprocità. A livello non-verbale il gruppo esprime l'essere insieme di tutte le partecipanti: le pazienti, il conduttore del gruppo, le psicologhe, s'incontrano su un terreno comune. Gli scambi sonori sono più espliciti, gli sguardi più diretti, ci si sorride. La dimensione della reciprocità è più evidente, sia come ricerca gratificata sia come tentativo fallito. Ciò fa emergere infatti il tema del limite, della difficoltà nell'incontrarsi o nell'accettare il rifiuto. Scambio relazionale sonoro non significa solo totale sincronizzazione, ma anche tolleranza dello scarto, della rottura sonora, delle pause: l'accettazione in altre parole dell'alterità. Il molteplice è il nocciolo della produzione: da una parte nell'improvvisazione prevale l'elemento ritmico in modo piuttosto ripetitivo, prolungato da tutte le partecipanti (pazienti e non) quasi a riconoscere quel terreno comune che è l'essere donne, gli elementi arcaici del femminile; al contempo vi è l'uso di strumenti in metallo e in legno, la ricomparsa delle percussioni non più dominanti. Ora lo strumento integratore è lo xilofono, che consentendo talora la strutturazione di proposte sonore appare come l'elemento razionalizzante contraltare dell'arcaico femminile di sottofondo; xilofono che contemporaneamente seduce spingendo le partecipanti verso la comunicazione. A tratti le percussioni sembrano dar voce ad elementi più violenti, utilizzate dalle pazienti le cui emozioni appaiono spesso coartate. Nel riascolto vi è una svalutazione della condivisione delle emozioni provate, uno scarto evidente tra le pazienti e lo staff di conduzione che sembra riconducibile alla sensazione del doversi guardare per come si è, del non poter sfuggire all'autenticità del suono: F. dice "voglio esprimere delle emozioni e poi ne scopro altre sul nastro... io penso di essere una persona poi mi riscopro diversa riascoltandomi". E' la sensazione della perdita del controllo sulle cose che viene amplificata dall'uso di strumenti non-verbali.
Il disvelamento è uno dei temi che caratterizza la conclusione di questo gruppo: nell'ultima improvvisazione il gruppo stenta a trovare un'integrazione, l'elemento peculiare è l'intensità sonora debole che cresce solo a tratti, si utilizzano soprattutto strumenti metallici piccoli, i suoni sono lievi e melanconici, si alternano crescendo e diminuendo. Il disvelamento inteso come lasciar vedere qualcosa di sé prima nascosta, la condivisione dei segreti, la morte, sono i temi che emergono dalle verbalizzazioni dell'ultima seduta; l'improvvisazione ha suscitato emozioni melanconiche il cui grande tema è quello della perdita, sia essa intesa come lutto, sia come rimpianto per ciò che è passato, perduto, ma anche come fase di passaggio verso il nuovo. Nuova è anche la possibilità di accettare parti di sé, di ascoltarle e di guardarle: ciò è drammatizzato durante l'improvvisazione da N. che suona le campane a vento, strumento divenuto una sorta di tabù dell'intoccabile, di ciò che non deve essere contattato e che invece nelle mani di N. e poi in quelle di S. assume il senso della possibilità, consentendo a P., solo in quest'ultima seduta, di suonarlo senza provare il solito senso di angoscia e paralisi. Così come F. suona a lungo il djambè, tirando fuori la propria rabbia verso un maschile invidiato e temuto, accettando che queste emozioni provengano da lei, senza distanziarsene e senza più negarle.
Il condensato di emozioni che l'esperienza di questo gruppo ha suscitato ha riguardato tutte le partecipanti, non solo le pazienti. Il confrontarci come staff di conduzione con tematiche riguardanti il femminile tutto, anche quello più "emancipato", ha reso visibile per ciascuna di noi quanto complesso sia il mondo femminile e quanto ricco di sfaccettature; così le campane a vento hanno rappresentato la molteplicità all'interno di un unico strumento, che può suonare solo lasciando che risuonino tutte le sue parti.

 

Maria Santonocito.