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Il trip delle Quattro stagioni

 

Drogava l'ascoltatore, Vivaldi. E non sarebbe male ricordarselo quando si ascoltano le Quattro stagioni. Per noi, oggi, quella è spesso musica anestetizzata, indolore, resa innocua dalle troppe interpretazioni sciatte, capaci di proporre soltanto le note scritte in partitura. Ma, quando è nata, la musica di Vivaldi era meraviglia, erano frasi di cui il violinista si impossessava per sfoderare un virtuosismo stupefacente, erano momenti elettrizzanti durante i quali un compositore geniale e irrequieto tirava fuori tutta l'invenzione di cui era capace.
Perché il modello, l'involucro, la forma erano sempre gli stessi, concerto dopo concerto: ogni volta i medesimi, per quasi cinquecento volte, per cinquecento concerti spesso scritti al ritmo di uno a settimana. Ma ciò che stava dentro, la musica, le note, i guizzi strumentali, quello cambiava ogni volta e ogni volta doveva stupire, rapire le orecchie, trascinare esecutori e pubblico in un trip da non dimenticare.
Ormai lo abbiamo imparato: in ogni concerto ci sono tre tempi, veloce-lento-più veloce, che durano in media circa dieci minuti in tutto. Il tempo lento, di solito affidato al solista con il solo supporto del basso continuo, è un'aria cantabile; i due tempi veloci che gli stanno intorno elaborano la ben nota forma "a ritornello", con tre o quattro episodi solistici di brillante virtuosismo e quattro o cinque ritornelli del "tutti".
Questo è lo schema, il contenitore. Un involucro solido, stabile, comprensibile a tutti, capace di reggere qualunque scossone. E allora, dentro, Vivaldi iniettava roba forte, passi solistici in cui l'invenzione onomatopeica e improvvisativa era ai massimi livelli, frasi in cui, quasi bypassando il gesto del compositore, era il violino stesso a far colare la propria musica, così legata all'uso straordinario e virtuosistico che dello strumento si sapeva fare nel primo Settecento. La forma era robusta, e allora Vivaldi poteva dedicarsi alla sperimentazione, alla trasgressione, al nuovo, certo che il pubblico, confortato dalla sensazione di essere comunque in luoghi conosciuti, sarebbe riuscito a seguirlo. Se ci si pensa, Vivaldi sfoderava ogni sorta di effetto speciale in un proprio personale cinema: la gente godeva, magari rabbrividiva, sobbalzava, però sapeva di essere di fronte allo schermo, sapeva che alla fine sarebbe tornata a casa con le proprie gambe.
Così Vivaldi sballava i propri ascoltatori, loro lo lasciavano fare e noi abbiamo ancora in mano la sua musica.

 

Da www.sistemamusica.it