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Jean-Baptiste Lully

 

Compositore italiano, naturalizzato francese, nacque a Firenze nel 1632.
Le sue origini sono tuttora ignote: egli si diceva filgio di un gentiluomo fiorentino, mentre altri affermavano fosse figlio di un semplice mugnaio; la leggenda vuole che il suo talento fosse scoperto mentre, ascoltato durante il riposo dalle sue mansioni di sguattero, si esibiva con il violino. In realtà Lully (francesizzazione di Giovanni Battista Lulli) fu condotto a Parigi ancora ragazzo nel 1646, dove divenne cameriere personale della principessa d'Orléans e dove studiò violino, canto e danza. Nel 1652 fu assunto alla corte di Luigi XIV dapprima quale baladin e come mimo, poi quale compositore e direttore del complesso dei petits violons.
Studiò, in seguito, il clavicembalo e la fuga, conservando per lungo tempo l'impronta della scuola italiana, favorita anche dall'influenza che l'opera italiana esercitava a Parigi, dove era stata introdotta dal Cardinal Mazzarino.
Nel 1661, prendendo la cittadinanza francese, Lully assunse la carica di maître de la musique de la Famille royale. Entrato negli ambienti più raffinati della cultura francese, fu il musicista di Corneille e soprattutto di Molière, con il quale fu in grande amicizia e per il quale compose numerosi balletti inseriti nello svolgimento delle commedie. Nonostante questi balletti spesso non avessero alcun legame con la trama della commedia ne costituivano i punti di maggior attenzione: Lully fu il primo ad introdurre nella comédie-ballet delle danzatrici professioniste: in precedenza infatti i ruoli femminili erano interpretati da uomini travestiti. Spesso anche i dignitari di corte prendevano parte attiva nelle rappresentazioni mescolandosi con i danzatori professionisti e con lo stesso Re Sole che si faceva vanto della sua abilità di ballerino.
In queste composizioni si può già scorgere il cammino intrapreso da Lully verso la creazione di uno stile francese basato sulla nobilitazione delle arie di corte tradizionali e sulla ricerca di una assoluta fedeltà ai caratteri ritmici della lingua.
Attratto sempre più dallo spettacolo musicale, finì con l'essere l'iniziatore del teatro musicale francese, attuando nella tragédie lyrique i principi estetici del suo tempo, configurabili nell'unità delle tre principali componenti dello spettacolo: l'intelligenza del testo letterario, il fasto scenico e coreografico, la suggestione della musica.
Rilevata nel 1672 l'impresa teatrale del poeta Perrin, oberato dai debiti, Lully assunse il monopolio dell' opera francese fino al punto di esigere la richiesta del suo benestare per la rappresentazione di opere di altri compositori.
Nello stesso anno ottenne il privilegio per la fondazione dell'"Académie royale de la musique". Passato dal balletto al melodramma, si affermò nel 1673 con l'opera Cadmus et Hermione, avviando poi con il Thésée (1675) - cui seguirono Bellérophon (1679), Proserpine (1680), Persée (1682), Amadis de Gaule (1684) Roland (1685), Armide (1686) - il nuovo corso del melodramma francese, incentrato sull'ariosità del canto, sull'agilità del recitativo valorizzato come elemento drammatico, sullo smalto dell'orchestra più intimamente legata alla vicenda scenica, in una simbiosi fra il testo poetico e la musica, sottratta ad ogni edonismo virtuosistico.
Per la maggior parte delle sue opere Lully si avvalse del più dotato librettista francese: Philippe Quinault.
Lully lasciò anche pagine di musica sacra e strumentale, di cui ricordiamo i 12 grandi mottetti ed i 13 piccoli mottetti.
Morì a Parigi nel 1687 per una cancrena contratta ferendosi ad un piede mentre, con il suo bastone, batteva il tempo per l'esecuzione del suo Te Deum.
Dopo la sua morte, per circa mezzo secolo (e cioè fino alla comparsa di Rameau) la cultura musicale francese si svolse nell'ambito lulliano.
Dei tre figli - Louis, Jean-Louis, JeanBaptiste, pur essi interessati alla musica - l'ultimo si acquistò qualche merito, curando ai primi del '700 l'edizione delle opere paterne.
Il recupero odierno delle opere lulliane risulta quanto mai ostico a causa della notevole distanza tra le prassi esecutive dell'epoca e quelle attuali.