La libertà nella simmetria all'infinito: il caso di Iannis Xenakis
Iannis Xenakis è non solo uno dei più grandi musicisti viventi, ma uno degli artisti più versatili e proficuamente teorici del nostro secolo. Musicista, architetto, matematico, ha attraversato il novecento in maniera avventurosa, segnato dalla guerra, dal suo esilio volontario in Francia, dalle collaborazioni con Le Corbusier, dai suoi maestri Messiaen e Honegger (con quest'ultimo però ci furono continui scontri), dagli sviluppi vertiginosi delle scienze e delle tecnologie informatiche, ma soprattutto marcato a fuoco dalla sua terra greca. Eppure Xenakis è nato a Braila, in Romania, anche se da una famiglia di greci; solo dopo le scuole elementari è andato a studiare in Grecia. Nella sua formazione si sono incrociati brucianti passioni per la filosofia, la matematica, i classici greci antichi, la fisica atomica ed altro ancora. Gli studi musicali sono corsi in parallelo, ma solo nei primi anni cinquanta Xenakis, entrato nello studio di Le Corbusier, decide di scommettere sulla propria carriera di compositore. Comunista e partigiano in prima linea, tanto che durante la guerra è sfuggito più volte alla morte (rimettendoci comunque un occhio), si è rifugiato a Parigi nel 1947 per sfuggire alla leva dell'esercito greco. La vita di Xenakis è stata attraversata da pesanti drammi e nelle interviste rilasciate si nota con quale precisione e disinvoltura ne parli, come se fosse il primo ad ammettere che esse sono centrali nel suo percorso umano e d'artista, ma che nel contempo esse sono assorbite in profondità, lucidamente, senza crogiolamenti o sentimentalismi di sorta.
Abbiamo fatto questa incursione nella biografia malgrado non riteniamo affatto che si debba spiegare a partire da questa le opere di un artista; nel caso specifico si tratta solamente di ribadire una volta di più come l'idea di uno Xenakis ingegnere musicale, armato di teorie matematiche freddamente utilizzate, sia molto lontano dalla verità. L'antisentimentalismo della musica di Xenakis non sottrae affatto, anzi, il suo carattere profondamente drammatico. Si può scegliere di non utilizzare a monte banali e convenzionali strumenti di drammatizzazione, come nel cinema hanno fatto Bresson, Antonioni o Anghelopoulos, per ottenere a valle un'efficacia passionale ben superiore all'attivazione di una cornice passionale stereotipica.
Xenakis - è vero - compone servendosi di teorie matematiche, di trasposizioni di idee fisiche in campo compositivo, di elaborazioni e calcoli fatti al computer; non amando diffondersi in dichiarazioni pubbliche sulla traccia emozionale o immaginava che poi informa il materiale, Xenakis ha spesso lasciato credere che la sua musica fosse il risultato di un calcolo, l'applicazione di una formula, quasi dando l'idea di essere lo scopritore di una musica che gli pre-esiste, un semplice estensore della ricerca scientifica nel dominio della produzione sonora. Beh, basta prendere un brano qualsiasi del compositore greco per rimanere sbalorditi; i suoi calcoli producono una musica materica, espressionistica, spesso dagli accenti selvaggi, tellurica, atavica. La grecità di Xenakis è tutt'altro che un ritratto classicista, apollineo della saggezza antica; è invece il recupero di un sfondo primigenio, di domande e problemi originari, di libertà e indeterminazione del destino, di eventi sovradimensionati rispetto alla finitudine umana, di fieri eroismi. Sospesa tra archeologia e mondi futuribili, la musica di Xenakis sembra rompere con le "regole" del presente, escludere in maniera ferrea qualsiasi cliché, sconvolgere la nostra sensibilizzazione, affermando perentoriamente una originalità impavida e "cruda", senza accomodamenti. Sono proprio le opere più estreme e violente di Xenakis a rimanere delle esperienza uniche e esaltanti, soprattutto quando la sua ricerca si accentra sulla sonorità, piuttosto che sulla complessificazione strutturale. Nascono di qui capolavori quali Oresteïa (1965-66), Pléiades (1978), Akea (1986); ma già l'opus 1, Metastasis per orchestra del 1955, è un'opera che brucia ancora di aspra e spiazzante genialità. Metastasis è un'opera che con i suoi glissandi, con le sue monumentali curve sonore che dipanano paesaggi nel loro farsi o disfarsi e aprono il terreno drammatico a l'incunearsi di sottili o clamorosi eventi sonori locali, ha fornito il modello per le successive esplorazioni di Ligeti, Penderecki e molti altri compositori soltanto epigoni.
L'irrequietezza della ricerca ha comunque condotto Xenakis a un percorso coerente, ma mai fermo sulle posizioni acquisite; la crisi degli ultimi decenni non lo ha perciò affatto riguardato. Casomai si è notato, a partire dalla metà degli ottanta, un certo "ingentilirsi" delle sonorità, ma che non può certo leggersi come influenza del clima neoromantico e della "nuova semplicità". Si tratta - come spiega lo stesso Xenakis - dell'utilizzazione di tipi di scale che danno effetti più melodici; ma in realtà tali effetti per Xenakis sono superficiali e persino detestabili, visto che continua a mirare a un emancipazione radicale della musica strumentale dalle scale.
La scelta dei materiali sonori per Xenakis mi sembra sia stata sempre un livello primario; tale scelta non sottrae comunque dalla interposizione di una griglia compositiva, ossia di una struttura. Ora tali strutture possono essere richiamate dal grande catalogo della tradizione, delle forme consolidate (anche se magari bollate come avanguardistiche), oppure vi può essere il tentativo di predisporre nuove germinazioni. Entriamo così nel nucleo della logica compositiva di Xenakis. Il compositore greco afferma che quando si dice «struttura» ci si riferisce a simmetria e asimmetria, ma quest'ultima è solo una dilatazione della prima. In fondo non si fa che passare da simmetrie più strette a simmetrie più dilatate. Tuttavia si può tentare di produrre l'asimmetria dilatando indefinitivamente la simmetria: si sconfina così nel campo delle probabilità. Questa tendenza all'infinito non è che l'anelito di uscire da regole di composizione (simmetrie già affermate). Agitare il caso, spingere la probabilità a coagularsi in nuova forma, non significa che tentare di enucleare la fucina della creazione, l'apparire dell'espressione. Il tentativo-limite del calcolo delle probabilità, non è né un affidamento all'irrazionale, né determinismo computazionale, ma solo l'umanissimo, strenuo tentativo di produrre la libertà.
La struttura è la petrosità stessa della storia, sedimentazione della traccia umana, notazione del sentimento, imprendibile originariamente, segno stesso della labilità della vita umana ma anche del suo prendere forma univoca, irriducibile, genuina. Così nell'arte del passato, come nell'arte del presente, per Xenakis.
Pensare delle forme (arborescenze, sciami, ecc.) è spingere l'espressione a coagularsi, a raccogliere e a incrociare in noi e attorno a noi forze, scivolamenti, movimenti a serpentina, meandri, le greche (che esistono finanche in Cina). Naturalmente ogni struttura germinata deve arrivare a "donare" la sua identità e a predisporsi a mettersi in variazione, a confidare nella propria imperfezione per ripresentarsi sempre diversamente.
Milan Kundera, grande estimatore del musicista greco, vede in lui un vero «profeta dell'insensibilità», perché ha dato vita a una poetica della «sonorità oggettiva», rispetto alla ben più comune estetica soggettivistico-sentimentale. Kundera ha compreso questo atteggiamento di Xenakis volto a raccogliere il "suonare bruto" del mondo, le forze che in esso si agitano e che ci attraversano sconquassandoci; ha compreso questo punto di vista esterno all'uomo, questo vedersi attraversato dal rumore e dall'impeto furioso del mondo, questa crudezza primigenia, inalienabile, che ha l'aspro sapore dell'esperienza storica, quella più remota, quella che ci ricorda il nostro essere incisi, gettati in Terra. Non è però una musica senza sentimento, come con spirito caustico sostiene Kundera; gli affetti rappresentati non sono quelli introiettati nell'anima, ma sono affetti del mondo, attrazioni e scontri tra corpi fisici, storia di forze, di formazioni e di improvvise catastrofi. Una poetica dell'oggettività non fa che assumere, con piena consapevolezza, che l'espressione musicale è un teatro di forze e di forme; del resto, fin dalla polifonia, abbiamo un soggetto della fuga e un controsoggetto, da cui scaturisce un vero dramma sonoro. Quella di Xenakis è musica liberata dai cliché e dalle interpretazioni precostituite, musica che vuole essere matrice di senso, narrazione drammatica del suo germinare, del suo giungere a noi e innestarsi come carne sensibile.
Se nella prima fase la produzione di Xenakis era piuttosto parsimoniosa, negli anni settanta è divenuta quasi fluviale. Sarebbe lunghissimo andare a ripercorre le molte opere di Xenakis e non possiamo limitarci che a delle brevi indicazioni, legate anche alla reperibilità dei brani su CD.
A parte l'opera lirica, da cui è sempre rifuggito, Xenakis vanta una produzione di notevole pregio sia in ambito orchestrale, sia in quello cameristico, sia in quello vocale e corale. Nel primo periodo prevalgono le composizioni per orchestra, e al già citato capolavoro d'esordio Metastasis, si devono ricordare almeno Pithoprakta (1956), Stratégie (1962) per due orchestre, Terretektorh (1965-66) e il più tardo Jonchaies (1977). Xenakis è autore di alcuni splendidi lavori per pianoforte, quali Herma (1962), Evryali (1973), Mists (1981): il pianoforte sembra da un lato stemperare il furore materico di Xenakis, e dall'altro acquisire una definizione compositiva di grandissimo nitore. Virtuosistici al massimo grado, estremi e sonoramente stupefacenti, sempre bellissimi sono i lavori dedicati al violoncello solo: Nomos alpha (1966) e Kottos (1977). Dei brani per voce e strumenti risalta su tutti Aïs (1979) per baritono, percussione e orchestra, mentre dei numerosi lavori corali è giustamente celebrato Nuits del 1967.
Xenakis non ha mancato di sperimentare l'elettronica dal famoso Orient-Occident (1960), che sembra concludere il ciclo dell'avanguardia radicale nella ricerca di nuove sonorità, fino a La légende d'Eer del 1977. Per quanto ci riguarda riteniamo preminenti i risultati ottenuti nella mistione di elettronica e strumenti, validi quanto le opere esploratrici di Henri Pousseur e Stockhausen; emerge soprattutto il poco frequentato Analogique A et B (1959) per archi e nastro magnetico e forse l'opera più mastodontica di Xenakis, Kraanerg, fallito forse in quanto balletto, ma di oscuro fascino (ben 75 minuti di musica per nastro magnetico e orchestra). Kraanerg è un'opera quasi misconosciuta, sicuramente imperfetta, ma davvero emblematica di quella capacità di Xenakis di risvegliare un mondo di suoni primigeni.
Da questo elenco rimangono escluse altre opere senza dubbio di grandissimo valore, ma non si può qui non concludere parlando di Pléiades (1977), insieme a Ionisation di Varese, uno dei più grandi lavori per percussioni mai scritti. Si tratta di oltre quaranta minuti di musica, suddivisi in quattro sezioni, cui corrispondono diversi gruppi di percussioni: il primo "Mélanges" raccoglie percussioni di diverse famiglie, il secondo "Claviers" usa vibrafono, xilofono, xilorimba e marimba, il terzo "Méteaux" esplora le sonorità dei sixxens, strumenti costruiti appositamente per Xenakis, il quarto Peaux utilizza bongo, tumbadoras, toms-toms, timpani ed altro. Il brano è un autentico percorso esperienziale nel suono e nel ritmo, travolgente e spesso di sconcertante bellezza: è forse il vertice assoluto dell'intera opera del compositore greco, e del resto il suo uso delle percussioni è inconfondibile e di ammirevoli creatività in tutti i brani che vedono un loro impiego (si veda Persephassa del 1969, Psappha del 1975, Komboï per clavicembalo e percussione e soprattutto Idmen per coro e percussioni, entrambi degli anni ottanta).
Pier Luigi Basso (da www.orfeonellarete.it)