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L’anima indifferente dell’Uccello di fuoco

 

Uomini come Stravinskij costituiscono il sale della vita, perché ne rappresentano l'enigma. La natura inafferrabile del genio, di cui riusciamo a cogliere di volta in volta solo una dimensione, mentre ci sfuggono tra le dita tutte le altre, si rivela nelle contraddizioni che contiene. Stravinskij e il balletto, per esempio. Non è contraddittorio che proprio Stravinskij, il musicista che sosteneva l'assoluta estraneità del linguaggio musicale a qualunque forma d'espressione, sia stato il massimo autore di balletti del Novecento? Non è forse il balletto una forma d'arte figurativa, per quanto tesa a un'espressione stilizzata, che nasce come genere particolare nel mondo del teatro? Com'era possibile che i princìpi del pensiero musicale di Stravinskij, enunciati molto precocemente e ribaditi nel corso del tempo con una fermezza addirittura sprezzante, s'accordassero con la natura narrativa del balletto, che come tutto il teatro vive di storie da raccontare, di personaggi da interpretare, di situazioni da rivivere? La contraddizione racchiusa nella figura di Stravinskij non si può risolvere. Rimane, nell'alone misterioso che la circonda, come una delle caratteristiche più sorprendenti dell'arte del Novecento. Quel che stupisce forse di più, tuttavia, è la lettura in senso contrario di questo aspetto particolare dell'arte di Stravinskij. La musica dei suoi grandi balletti, di cui L'oiseau de feu (1910) fu il primo in assoluto, è anche allo stesso tempo una delle espressioni più alte e pure della vita orchestrale del secolo. Nell'opera di Stravinskij non c'è separazione, in sostanza, tra il mondo del teatro e quello della sala da concerto, né un rapporto vincolante con il tempo e il luogo specifico di ciascuna creazione. La sua musica sembra indifferente alle circostanze della storia, in modo simile a quella di Bach, che comunica il suo significato con altrettanta forza sia nell'austero spazio di una cattedrale sia nel più mondano degli auditorium moderni. Per quanto le grandi coreografie del secolo, da quella originale di Fokine alla geniale rivisitazione compiuta da Béjart negli anni Cinquanta, abbiano consegnato L'oiseau de feu alla storia del balletto, non si può trascurare il fatto che l'iridescente, vitalissima partitura di Stravinskij ha percorso con altrettanto successo la strada dell'esecuzione in forma di concerto. Stravinskij trasse numerose suite e riduzioni dalla partitura originale. La Suite per grande orchestra, del 1911, capitò immediatamente a ridosso della prima rappresentazione, nuova mirabolante avventura dei Ballets Russes di Diaghilev nella Parigi conquistata di slancio dalla moda russa. La versione da concerto più nota è forse la seconda suite, preparata in Svizzera nel 1919, che termina col poderoso finale in cui si raffigura il crollo del palazzo di Kastchei. Meno diffusa in passato, ma negli ultimi anni preferita dai direttori d'orchestra, vi è ancora una terza Suite redatta nel 1945 negli Usa, più lunga e corposa delle altre. Non fosse bastata questa proliferazione di partiture, l'autore permise inoltre varie riduzioni strumentali di singoli numeri del balletto. Infine, ultima rinascita dell'incontenibile Fenice creata da Stravinskij, vi fu anche una versione canzonettistica arrangiata da Lou Singer, Summer Moon, che sfrutta la melodia turgida e piena di languore del Ronde des princesses.

 

Oreste Bossini (da www.sistemamusica.it)