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L’Original Dixieland Jazz Band e le origini del jazz

 

(I primi dischi di jazz. Che effetto fa aver inciso i primi dischi di jazz? Forse si spende il resto della propria vita sostenendo di aver inventato la nuova musica che ha cambiato il Novecento, si calunnia chiunque possa ricostruire in modo diverso la storia e si scrivono attacchi sgradevoli ai neri, visti come insopportabili concorrenti apprezzati da una critica detestabile).
Attorno alla Original Dixieland Jass Band (poi Jazz) si stende una cortina fumogena che rende assai difficoltosa l'opera di chi vuole fornire una valutazione estetica del loro operato.
Per molti rappresentarono veri miti giovanili, indimenticabili, posti al di sopra di ogni critica.
Per altri furono degli abili imitatori, privi di sostanza jazzistica, arrivati negli studi di registrazione prima dei neri solo per motivi razziali.
Forse i cinque giovanotti di New Orleans sono entrambe le cose.
Di sicuro avevano un leader energico, volitivo e ambizioso. Si chiamava Nick LaRocca, figlio di un calzolaio italo-americano, e amava la musica della sua città.
Una New Orleans piena di suoni, Sidney Bechet ricorda nelle sue memorie (Treat It Gentle) che spesso, mentre giocavano, lui e i suoi amici d'infanzia udivano il suono di una brass band echeggiare per le strade. Scattava subito una ricerca spesso fallimentare, la musica poteva anche arrivare dai lontani picnic sul lago Pontchartrain e si diffondeva in modo da creare un'apparenza ingannevole di vicinanza.
In quest'ambiente rigoglioso il giovane LaRocca rimase affascinato dalla potenza della banda di John Philip Sousa, con la meravigliosa cornetta solista di Herbert L. Clarke. Scoprì presto le brass band bianche della città, ascoltando con attenzione Ray Lopez di cui copierà anche la diteggiatura mancina sulla cornetta.
Il padre si opporrà con forza, ma Nick era un osso duro e aveva capito che la musica poteva dargli la gloria. Un obiettivo che perseguirà sempre, ottenendo per alcuni anni un successo planetario, paragonabile a quello di Enrico Caruso.
L'ODJB nasce nel 1916, formata da Larry Shields (clarinetto), Eddie Edwards (trombone), Henry Ragas (pianoforte), Tony Sbarbaro (batteria) e Nick LaRocca (cornetta). Non si tratta di un gruppo che riunisce i migliori musicisti bianchi di New Orleans, i loro nomi non si pongono sullo stesso piano di pionieri mitici come Jack Papa Laine. Erano dei validi orchestrali, con Shields un po' più avanti dei suoi colleghi.
Ripresero la front line classica di Buddy Bolden, con la cornetta impegnata a enunciare la melodia appena variata, il clarinetto in continuo movimento verso l'acuto e il trombone che completa l'armonia e spesso esegue delle risposte ai due fiati con un caratteristico uso del glissando; uno stile chiamato tailgate perché il trombonista si sedeva in fondo ai carri che portavano le brass band in giro per la città.
Il ruolo della cornetta non è così semplice come può apparire a prima vista. Non richiedeva una tecnica da virtuoso, ma era necessario suonare in modo tale da imporsi all'organico dettando le coordinate fondamentali dell'esecuzione e studiando abbellimenti semplici, ma efficaci.
Un lavoro per uomini robusti, in grado di magnetizzare la folla con il suono potente e romantico del loro strumento. Un ruolo che logorava e invecchiava anzitempo: quasi tutti i grandi cornettisti di colore registrarono sopra i trent'anni (Freddie Keppard, Joe Oliver, Oscar Celestin), ancora in grado di suonare frasi magnifiche, ma già afflitti da un'imboccatura invecchiata anzitempo.
Nick LaRocca negò sempre, con tale forza da apparire razzista, il ruolo dei colleghi di colore nella creazione del jazz. Al contrario di Paul Mares, suo concittadino e leader dei New Orleans Rhythm Kings, che riconoscerà senza problemi di aver iniziato imitando King Oliver.
È una questione che impone alcune osservazioni sul mondo musicale di New Orleans e le forze che contribuirono alla nascita del jazz.
La città era un vero crogiolo di culture spesso assai diverse. La presenza di spagnoli e francesi era fortissima a causa delle alterne vicende politiche della Louisiana. Questi ex padroni della regione avevano spesso figli con schiave di origine africana, che trattavano con molto rispetto, fornendo loro un'educazione di livello europeo. Molti giovani creoli avevano competenze musicali accademiche e alcuni andarono in Francia a perfezionarsi. Fra di loro risalta il nome di Louis Moreau Gottschalk, un giovane pianista molto apprezzato durante il soggiorno a Parigi, instancabile viaggiatore in America Latina. Una sorta d'impollinatore che inseriva, all'interno di uno stile pianistico europeo, i mille stimoli espressi dalle culture afro-americane delle Antille e del Brasile.
New Orleans era anche la città degli USA più vicina all'Africa. Gli schiavi destinati al Nord del nuovo continente sbarcavano, dopo un periodo d'acclimatazione a Cuba, nel suo porto. Molti restavano in città, mantenendo in vita le tradizioni originarie, grazie alla tolleranza cattolica del luogo, che non condivideva l'estremismo puritano dei padroni del cotone.
A New Orleans ebbero modo di sopravvivere con minore sforzo molte danze africane e le annesse musiche per strumenti a percussione.
Sempre nella città del Delta arrivò la musica per banda europea. Quella francese, innanzitutto, imperniata su trascrizioni di arie d'opera che mettevano in luce i migliori cornettisti e trombettisti.
La scoperta del moderno strumento a pistoni consentiva di eseguire difficili arie estratte dal repertorio delle più famose soprano. Erano gli anni successivi al trionfo di Jean Baptiste Arban, grande virtuoso parigino della cornetta e autore di un metodo che, a distanza di quasi due secoli, rimane fondamentale.
In misura minore, ma non trascurabile, risuonava a New Orleans la musica marziale delle bande d'impianto tedesco.
Anche gli italiani hanno un posto di rillievo in questo panorama. In città ne arrivarono molti, al punto da costituire un quartiere analogo alla Little Italy di New York. Erano soprattutto lavoratori edili e non erano considerati veri bianchi, ma una via di mezzo fra i neri (ritenuti quasi scimmie) e gli europei di origine francese o anglosassone. Li chiamavano Dagos (dal nome proprio Diego) e subirono anche qualche linciaggio.
Con loro arrivò la musica per fiati delle tante regioni italiane, da poco unificate. Molti musicisti delle bande militari, finite le guerre risorgimentali, traversarono l'Atlantico. È famoso il caso dell'unico sopravvissuto alla distruzione del Settimo Cavalleggeri a Little Big Horn: si tratta del trombettiere, un ex garibaldino.
Gli emigranti si portavano dietro le canzoni popolari e le arie d'opera. I dischi di Caruso e Adelina Patti erano molto diffusi e Louis Armstrong li ascoltò spesso. Amava inserire negli assolo degli anni Venti abbellimenti usati da Luisa Tetrazzini e imparò ad accompagnare i cantanti sui dischi di Caruso.
È questo il panorama straordinario che accompagna gli esordi dell'ODJB e rende molto difficile stabilire l'esatto apporto di ogni componente etnica al jazz.
Di sicuro la concezione ritmica è di origine africana. Così quella timbrica, in debito con il neonato blues, diffuso nelle piantagioni dell'entroterra.
Lo strumentario è senza dubbio europeo (esclusa la batteria, le cui componenti si trovano nel Vecchio Continente, ma l'assemblaggio e la nascita di pezzi importanti come il pedale della grancassa è afro-americano), così buona parte della concezione armonica e formale (il ragtime impiegava la struttura della musica da ballo europea, di cui i valzer degli Strauss rappresentano il prodotto più famoso).
La nascita dell'organico base del jazz è attribuita al leggendario cornettista di colore Buddy Bolden. Le prime brass band che suonavano ragtime erano creole, ma presto fiorirono organici neri come l'orchestra di Henry Allen sr. e bianchi (Papa Laine).
Dovrebbe ormai essere chiaro che le affermazioni di LaRocca, che sosteneva di aver inventato il jazz, sono prive di ogni fondamento.
Questo non comporta l'adesione alla corrente che relega l'ODJB in un angolino del tutto marginale nella storia del jazz.
Se ascoltiamo i loro primi 78 giri, realizzati nella primavera del 1917, non possiamo fare a meno di avvertire una straordinaria carica ritmica, una marcia in più che non ha raffronti nelle incisioni dell'epoca, bianchi o neri che siano gli esecutori.
LaRocca e i suoi compagni, in pochi mesi, conquistarono New York e con essa gli Usa. Centinaia di musicisti si lanciarono nella scia del loro successo. Il 15 settembre 1918 suonarono in un concerto di beneficenza addirittura con Enrico Caruso.
Un artista sommo come Joe Oliver decise di abbandonare il formato delle brass band per creare un organico analogo a quello dell'ODJB.
Finita la guerra il gruppo fu chiamato per più di un anno in Inghilterra, dove trionfò anche davanti al Principe di Galles.
Poi l'onda perde di slancio, di nuovo in patria i loro dischi non ottengono più il solito successo di vendite. Nel 1925 LaRocca ha un esaurimento nervoso e il gruppo si scioglie.
Sarà sempre il cornettista a tentare di sfruttare, nel 1936, il dixieland revival per ricostituire il gruppo e tentare di nuovo la scalata al successo. Durò solo diciotto mesi.
Proviamo a trarre le prime conseguenze di quanto detto.
È forse vero che i musicisti dell'ODJB eseguivano non il prodotto genuino, ma una variante novelty molto elaborata del jazz di New Orleans.
Nonostante le reiterate affermazioni di LaRocca, secondo il quale i cinque improvvisano tutto il repertorio, è chiaro che le parti erano preparate con cura e memorizzate per essere eseguite senza spartiti.
È ciò che facevano orchestre di colore come quella di James Reese Europe: il pubblico bianco voleva negri naif, e loro fingevano di non saper leggere e di suonare tutto a orecchio.
Le incisioni successive al tour britannico dimostrano che l'ODJB non regge il passo con i nuovi concorrenti: tanto i bianchi New Orleans Rhythm Kings, quanto i neri della Creole Jazz Band di Joe Oliver mostrano una padronanza superiore di blues e swing.
Ma nel periodo che va dalla prima registrazione pubblicata (26 febbraio 1917) al concerto di apertura al London Hippodrome (25 marzo 1919) l'Original Dixieland Jazz Band apre la strada a tutti i gruppi jazz che cercheranno di imitarla (Red Nichols e Bix Beiderbecke sono solo due fra i tanti cornettisti e trombettisti conquistati da LaRocca); impone un repertorio che è ancora oggi la norma dei gruppi dixieland (pensiamo a "Tiger Rag" e "At the Jazz Band Ball"); mette in moto le gambe di milioni di ragazze e ragazzi, alla ricerca di una nuova energia che facesse dimenticare gli orrori della Prima Guerra Mondiale e inaugurasse il nuovo mondo di pace e gioia che tutti si auguravano.

 

Valerio Prigiotti (da www.allaboutjazz.com/italy)