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Ricordo di Niccolò Castiglioni a 70 anni dalla nascita

 

"Quel sorriso che tutti ammiravamo aveva sempre avuto una cordialità aperta e quasi infantile \…\ un po' della sua serena tranquillità entrò in me e d'improvviso mi parve di comprendere quel suo allontanarsi dagli uomini per andare verso il silenzio \…\ come se, Magister Musicae, avesse scelto quest'arte come una delle vie che conducono alla meta suprema dell'uomo, alla libertà interiore, alla purezza, alla perfezione". (H. Hesse, Il gioco delle perle di vetro).
Queste parole del grande scrittore Hesse, paiano rivolte a Castiglioni, talmente calzano a pennello con la sua personalità, "aperta e quasi infantile", e con la sua aspirazione "alla libertà interiore, alla purezza". La sonorità della musica di Niccolò Castiglioni è ruscellante, liquida, fluida, argentina, liquescente, produce l'effetto dell'acqua che scorre in un ruscello, trasmettendo anche un senso di freschezza e di naturalezza. Era nato a Milano nel 1932 e nella sua casa milanese è morto nel 1995. Cadono quindi i 70 anni dalla nascita, quei 70 anni che Castiglioni non è riuscito a raggiungere, lasciando nell'ambiente della musica internazionale un vuoto incolmabile, perché lui era un uomo molto diverso, nella sua fresca cordialità e nella sua indipendenza culturale, da ciò che s'incontra, normalmente, nel mondo della musica contemporanea. Grandissimo musicista, dotato di un'inventiva timbrico-figurale davvero straordinaria, è stato molto eseguito e lo è ancora in Germania, meno da noi (come troppo spesso accade). Era anche un eccellente pianista e aveva una capacità di leggere, ascoltare e interiorizzare la musica così immediata e spontanea che lasciava senza fiato. Mi si permetta un avvicinamento, del tutto astruso: per me Castiglioni è il Mozart della musica contemporanea, così vicini sono i due nel loro essere infanti, nel sognare musica, nel respirarla, nella fluidità del linguaggio che sgorga dalla penna come l'acqua lucente dalla sorgente, rivelandosi, nella sua stupefacente luminosità e freschezza, un mondo fra il fantastico e il reale. Per tutto questo, e per l'indescrivibile maestria del segno e del gesto, la sua musica s'avvicina e forse rappresenta l'opera del genio, caso davvero unico di felicità e naturalezza, nel serioso e sofisticato mondo della musica d'oggi, dove l'egocentrismo cozza con quella fidente ingenuità di Castiglioni. Non era lui a cercare i suoni, era la musica ad andare a lui, come l'alba verso il suo giorno. A parte un giovanile amore per Stravinskij (che poi ritornerà in età matura), aveva iniziato da Darmstadt, come quasi tutti i giovani compositori di allora, ma la sua musica si era emancipata presto dal pessimismo espressionistico e dalla tagliente freddezza dello Strutturalismo, per approdare a una concezione più estroversa, calda e morbida, ritrovando la gioia e la brillantezza del suono mediterraneo. La sottigliezza timbrica, il gusto per le figure decorative e gli effetti cangianti, la sintassi levigata e adamantina, caratterizzano la sua musica che esprime una poetica solare e naif, nel senso di genuinità (in Castiglioni l'uomo e il musicista erano tutt'uno), che vuol dire affrontare il fatto musicale con spontaneità e necessità interiore. Prediligeva le forme piccole e non pre-ordinate, ma libere, preziose e colorate, come le amate vetrate delle cattedrali gotiche. Era la sua una luminosità magica che sorprendeva e allietava.Castiglioni riusciva a creare una dimensione spazio/temporale estatica. La scrittura risulta senza peso, dissolta in filigrane preziose, trasparenti come veli trapunti, sospesa come una visione incantata. Si tratta di una materia musicale sublimata, con tocchi di fantastico e di fiabesco, che comunica immagini che evocano l'ingenuità e la bizzarria dell'infanzia.Classicismo e romanticismo, intesi come categorie dello spirito, si alternano e spesso si con-fondono nelle opere di Castiglioni, realizzando un personalissimo recupero di alcuni aspetti della tonalità, recupero che avviene fin dagli anni Sessanta (per esempio Sinfonia in C) e che anticipa, insieme alla musica di Berio in Italia, alcuni atteggiamenti stilistici ed espressivi che diverranno sempre più rilevanti nel decennio successivo, sono aspetti che prendono forma per amore e per istinto, lontanissimi dalle speculazioni commerciali che hanno operato poi i cosiddetti compositori "neo-romantici" i quali, in maniera del tutto impropria, sono stati accostati a Castiglioni che invece, proprio per la sua genuinità, è un unicum nel panorama della musica italiana degli ultimi decenni. Leggiamo, dalle stesse parole di Castiglioni, il suo percorso: "mi sono diplomato in composizione nel 1953, sotto la guida del simpatico Franco Margola, ma prima avevo preso lezioni da Ghedini. Allora il Conservatorio era diverso da oggi: l'aria era assai più sana e meno disordinata. Di quegli anni di studio ricordo un ottimo ricordo, tanto è vero che un mio insegnante di allora, Luciano Tomelleri, è diventato più tardi il mio migliore amico. Ci unisce un grande amore per l'ordine, per l'arte, per la natura, per la montagna \…\ negli anni intorno al 1958 non facevo che leggere filosofia. Soprattutto mi avvincevano i libri di Eugenio Garin, i suoi studi sul platonismo medioevale \…\ negli anni del Conservatorio avevo una fede stravinskiana, più tardi ci fu un crescente interesse per la dodecafonia, quindi il mio stile si interiorizzò e lo spostamento dell'interesse musicale si diresse verso le posizioni post-weberniane \…\ nel 1959 composi Cangianti e Aprèslude, dove riaffiora il mondo tardo romantico del primo Webern, successivamente sentii il bisogno di comporre qualcosa di tendenza opposta: non più il monologo sul subconscio di un espressionismo viennese latente, ma il chiaro nitore di Rondels, con i suoi colori intenzionalmente rinfrescanti e mattutini \…\ dal 1966 al 1970 insegnai negli Stati Uniti \…\ ritornato in Italia scrissi Inverno in ver \…\ tra le composizione alle quali tengo di più sono il concerto per oboe e orchestra intitolato Morceaux Lyriques, il Geistliches Lied, il Mottetto per soprano e orchestra, Hymne per coro e dodici voci e Cantus plaunus" (da "Autobiografia", in Linguaggio musicale di Niccolò Castiglioni di Renzo Cresti, Miano, Milano 1991). La sonorità dei brani di Castiglioni è mossa e scintillante, si nota una particolare insistenza - ed è una costante in Castiglioni - per i registri acuti. I titoli rimandano a un gesto espressivo o a un artificio, come Arabesci (1971) pezzo che, fin dal titolo, rinvia all'espediente stilistico spesso utilizzato da Castiglioni, appunto l'arabesco, che, nel suo movimento sinuoso e imprevedibile, riesce a tenere insieme sia il reale che il fantastico; l'arabesco è la forma originaria della fantasia e prende corpo dalla capacità di meravigliarsi, è percezione stupefatta che, come ha scritto Valéry, arresta di colpo il cuore! L'arabesco s'identifica bene col carattere infantile di Castiglioni, con quell'età dove tutto appare come un miracolo e lo si ammira con occhi incantati. Non si ascolti quindi l'arabesco come un prezioso ornamento neo-liberty, ma come un elemento che vuole comunicare il senso dello stupore. Durante il brano si ammicca a certe situazioni tonali, soprattutto verso la fine del pezzo, dove compare un tema vero e proprio. Nell'esecuzione non vanno sottolineate le parti tonali e le citazioni, ma eseguite con estrema naturalezza perché non c'è alcun intento programmatico, polemico né tantomeno provocatorio, ma elementi tonali e non sono complementari e con-vivono in un unico spazio/tempo sonoro. Vi sono citazioni da Grieg, uno dei compositori preferiti da Castiglioni. Grieg fa da tramite verso quello che potrebbe essere considerato il capolavoro di Castiglioni, il lavoro per orchestra Inverno in-ver (1972). In queste partiture il sentimento della natura, lo stupore che essa provoca, deve essere tenuto presente per trasmetterne la meraviglia durante l'esecuzione. Castiglioni sa stupire perché è stato lui stesso stupito dalla natura e dalla magia del suono. La fluidità della scrittura, le sonorità ruscellanti e lo stupore producono uno smarrimento dei confini fra mondi reali e immaginari, suscitando visioni oniriche o ancestrali. La musica gioca spesso su assonanze, aloni sonori, su richiami, e su questo gioco l'interprete deve basarsi per trasmettere le sue emozioni. Insieme alla musica strumentale pura (Perigordino per orchestra, Filastrocca per organico misto da camera, He per pianoforte, La buranella per orchestra, Momenti musicali per sette strumenti, Capriccio per 11 strumenti, tanto per citare alcuni stupendi esempi, tutti del 1990-91) è di notevole importanza quella per voce e coro, fra gli ultimi brani sono da ricordare Mottetto per soprano e orchestra (1987), Hymne per coro a cappella per 12 voci (1989), Sinfonia con rosignolo per soprano e orchestra (1989), Cantus planus I (1989) e II (1991, entrambi per due soprani e sette strumenti), Veni Sancte Spiritus per soli, coro e orchestra (1990) e il bellissimo Osterliedlein per voce e strumenti su testi dello stesso Castiglioni (1990). Le allusività tonali, il personale uso delle citazioni, le linee arabescate, l'importanza del silenzio quale assaporamento del suono, la visionarietà, la sospensione temporale di certi momenti estatici (meditativi e perfino religiosi), una spiritualità festosa e popolana, il rapporto fra la limpidezza e la fluidità della scrittura (di tipo "mozartiano") e lo stupore e la descrizione naturalistica (che ha un humus romantico), le sonorità preziose, i disegni minuti, la mobilità dei timbri e delle densità sonore, sono questi i tratti fondamentali dello stile di Castiglioni che lo hanno reso davvero un unicum nel panorama italiano e internazionale (tratti che devono essere resi con un bel suono, ricordandosi sempre di respirare musica).

 

Renzo Cresti (da www.orfeonellarete.it)