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Teatro in terapia

 

Si parla oramai in maniera sempre più concreta del teatro all’interno di  attività riabilitative con fini terapeutici, di un teatro in grado di produrre risposte esaurienti, valutabili e codificabili, al fine di ricreare quegli “ambienti terapeutici” utili alla cura del soggetto. 
Il teatro, da sempre, nelle sue diverse dimensioni, porta in sé tutto quell’humus vitale e trasformativo che ha come fondamenti la dimensione fisico-corporea e quella linguistico-espressiva. Diversi i modelli di approccio all’arte teatrale in ambito terapeutico: lo Psicodramma di Moreno, l’attività di Drammaterapia di Landy, il teatro antropologico di Barba, il teatro/tecnologia del sé di Grotowski, tanto per citare i più importanti. Ogni autore ha cercato di introdurre le proprie teorie, il proprio modo di “vivere il teatro”, frutto innanzitutto di grande lavoro, nato dall’esperienza personale. Ciascun operatore teatrale, regista, terapeuta, attore, giunge così all’interno del suo percorso, a riconoscere il proprio modo di “vivere il teatro” e il proprio modo di restituire le sue esperienze all’altro, recuperando da ogni autore ciò che ritiene utile alla sua formazione e ciò che emotivamente sente appartenente a se stesso. Ecco quindi che il teatro diventa il “proprio” teatro, ecco che ognuno produce una sua forma, una sua pratica teatrale che rispecchia la summa di teorie ed esperienze dei diversi autori, fatte proprie e rielaborate in ambito lavorativo. E’ nella dimensione del setting teatrale che si sperimentano le personali forme di teatro, ed è sempre nel setting che prosegue la sperimentazione continua da cui il teatro non può prescindere.
All’interno di strutture psico-socio riabilitative, il setting del laboratorio teatrale diventa il luogo ideale per esplorare e studiare i fenomeni di modificazione e di trasformazione della coscienza, attraverso diverse tecniche (corporee, mentali e linguistiche), e nelle sue diverse componenti (drammaturgia, lavoro dell'utente/attore e della comunità/gruppo, spettacolo/transizione). L’attività teatrale favorisce l'esplorazione di sé, migliora le abilità comunicative, promuove le relazioni e il lavoro di gruppo, attivando processi che vanno strutturati secondo i principi estetici di una classica produzione teatrale. La rappresentazione, principale processo implicito in teatroterapia, e la distanza estetica  permettono di fare esperienza di sé  in modo meno ansiogeno (emozioni, rievocazioni, vissuto corporeo).  La rappresentazione consente agli utenti/attori di lavorare sul corpo, sullo sviluppo della caratterizzazione e sui ruoli, impegnando le proprie abilità linguistiche e creative attraverso improvvisazioni guidate. Il laboratorio, in cui attori e regista lavorano insieme sul training e sulla prepara­zione dello spettacolo, diviene la situa­zione in cui si condensa il significato del tea­tro stesso, focalizzando l’interesse sul processo piuttosto che sul prodotto. Inoltre, in esso è possibile sperimentare ed integrare le diverse componenti cognitive, emotive, intuitive, creative sia sul piano temporale (passato, presente, futuro) sia sul piano relazionale (io-tu, interno-esterno, io-mondo), sia sul piano corporeo (vissuti di piacere e di integrazione).
Il regista/terapeuta favorisce la spontaneità e la comunicazione all’interno del gruppo e aiuta l'utente/attore a fare ciò di cui ha bisogno per rappresentare il personaggio, nell'interazione con i compagni e con gli spettatori.
Il setting del laboratorio teatrale, per sua natura, si pone come spazio/tempo altro, separato dalla quotidianità: in tale situazione si ha una sospensione della vita quotidiana a favore di una esplorazione-costruzione di modalità diverse, non solo di pensare, percepire e muoversi, ma anche di interagire.
Il rimodellamento della sfera esperienziale investe, oltre il corpo la mente e il linguaggio, anche le relazioni, o meglio, gli "schemi di relazione interpersonale".
La trasformazione degli "schemi interpersonali" porta ad una estensione di questo nuovo modello di interazione anche fuori dal laboratorio, nella vita quotidiana; in questo senso la pratica teatrale può divenire pratica di vita, ma solo a condizione che nel contesto operativo si crei una "comunità teatrale" che condivide un progetto di autosviluppo. Il Laboratorio diventa quindi un evento comunicativo  e trasformativo, che si caratterizza in quanto in esso si persegue un cambiamento inteso come modificazione: da uno stato di disequilibrio in uno stato più adattivo. Il teatro conduce a zone indefinite, a luoghi inesplorati, che possono venire alla luce e riportati a “verità” solo grazie ad una attività in cui il singolo ed il gruppo comunicano in uno spazio/altro, attraverso modi e tempi, altri dalla realtà.
La terapia a mediazione teatrale, nel favorire la simulazione della realtà che viene ricreata, soggetta a sperimentazione e manipolazione al pari di quanto avviene nel gioco simbolico, crea uno spazio in cui l’illusione è possibile, sostenuta e condivisa, e ciò permette lo sviluppo del pensiero creativo in quanto conduce alla formazione di nessi simbolici prima inespressi.

 

Luigi Coccia